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mercoledì 23 luglio 2008

Racconti - Il mistero del "cuarto frio"-


Capitolo 1



Juan Baptista Urraca, vedendo la grande luna piena che risplendeva sul reef, decise di andarsene a calare le nasse.
Da Panama, l’agenzia turistica gli aveva annunciato l’arrivo di un gruppo di europei. Se pescava un po’ di aragoste, il villaggio poteva contare su qualche dollaro in più di quelli che gli lasciava solitamente Manuel Avila, il panamense che trasportava turisti dalla capitale all’arcipelago di San Blas.
Andò sulla piccola spiaggia e spinse in acqua la sua piatta canoa. L’aveva interamente costruita con le sue mani per il nipote Mateo, quando questi aveva compiuto gli anni giusti per cominciare ad imparare dal nonno come costruirsi una canoa e muoversi tra i trecentosessantacinque isolotti bagnati dalle acque del golfo del Caribe.
Con la sua pagaiata forte e regolare Juan Baptista raggiunse in pochi minuti la barriera corallina e accostò per iniziare il suo lavoro. La luna illuminava il mare meglio di quanto non facesse il gruppo elettrogeno a gasolio con le capanne del villaggio e i grandi bungalow utilizzati per accogliere i turisti. E soprattutto non spandeva intorno il suo fumo maleodorante. Non s’era mai abituato a quell’aggeggio rumoroso e puzzolente ma gli riconosceva una qualche utilità. Soprattutto per via del piccolo e attrezzato ambulatorio, costruito da qualche anno sulla sua isola, che rappresentava, per i villaggi kuna sparsi nell’arcipelago, il solo presidio per le emergenze più gravi..

Juan Baptista Urraca era il Sahila del suo villaggio. Assieme agli altri capi kuna conosceva perfettamente i rischi di estinzione che correva il suo popolo. Senza vaccinazioni e interventi medici preventivi, le malattie tropicali avrebbero continuato a decimarli. Per questo riteneva saggio utilizzare le conoscenze e le tecniche della medicina della città. Così come apprezzava, soprattutto quando c’era un malato grave o un villaggio era stato isolato da un uragano, la possibilità di usare, per piccoli aerei, le piste ricavate dalla distruzione di alcuni ettari di lussureggiante vegetazione. Quante volte si era scontrato nelle assemblee con i giovani della sua comunità. I più radicali sostenevano che i rischi più grandi per la autonomia dei Kuna stavano nei disegni delle grandi compagnie turistiche con i loro progetti di alberghi da mille stanze. Inoltre la loro sopravvivenza era minacciata dai cartelli che controllavano il traffico di droga attraverso la regione del Darien, il grande polmone verde tra la Colombia e Panama. Quelle piste favorivano i legami con il continente e attiravano gli speculatori. C’era chi ricordava i trasbordi di casse dagli aerei atterrati all’improvviso, di notte, sulla loro isola, verso grandi motoscafi attraccati oltre il reef, lamentando l’inefficienza dei guardacoste panamensi. Immancabilmente Juan Baptista prendeva la parola. Con voce calma e ferma, che placava le più accese discussioni, ogni volta concludeva: “Se non avessimo il nostro ambulatorio e i buoni medici delle associazioni umanitarie, quelli che vogliono le nostre terre non dovrebbero faticare tanto per prendersele. Dovrebbero solo avere la pazienza di attendere gli effetti delle epidemie e della denutrizione”
Ampliare e arricchire l’ambulatorio, per la sopravvivenza stessa dei Kuna, era la missione di Juan Baptista Urraca. Il più instancabile tra i capi dei villaggi nel raccogliere fondi e nel sollecitare l’intervento del governo centrale ma anche delle istituzioni mondiali come l’Unesco e le grandi Associazioni ambientaliste. Quest’ultime, soprattutto, mostravano, verso i Kuna, una grande sensibilità. In questi rapporti squisitamente politici, Urraca mostrava di essere lucidamente consapevole della forza - che pure sembrava a molti giovani impalpabile e astratta - a disposizione della sua gente. La forza della legge che riconosceva al popolo kuna uno status e una autonomia speciali. Grazie a questo diritto tutti i progetti per la edificazione di grandi alberghi e villaggi turistici di massa, prologo della distruzione di una natura incontaminata e dell’asservimento delle popolazioni indigene, erano rimasti nei cassetti degli uffici studi delle compagnie. Qualche assessore, per lucrare provvigioni, aveva avventatamente promesso di poter convincere il popolo dell’arcipelago a dare l’autorizzazione finale, ma inutilmente. Il pescatore, dal corpo minuto ma scattante e muscoloso, che si stava immergendo tra gli scogli per calare e ancorare le sue nasse, era senza ombra di dubbio un capo politico saggio e rispettato non solo nell’arcipelago di San Blas.



Capitolo 2

Mentre si accingeva a risalire sulla canoa per tornare al villaggio, Urraca sentì avvicinarsi, da ovest, una lancia dal motore molto potente. Qualcosa nella mente gli consigliò di mantenersi defilato e di non farsi scorgere. Si appiattì dove gli scogli formavano una sorta di arco, ad un’altezza di circa quattro metri. Da quel punto prese a spiare le mosse della lancia che nel frattempo aveva spento il motore fermandosi al di là della barriera corallina, verso il mare aperto, distante una quindicina di metri dal suo posto di osservazione. A bordo c’era un uomo solo. Alto e massiccio, un berretto di lana da marinaio calcato fino alle orecchie, con un giubbetto scuro e un paio di pantaloni di un colore più chiaro che gli arrivavano poco sopra le ginocchia. L’uomo che aveva dato la fonda alla lancia con la prua rivolta verso nord, accese e spense più volte un faretto attaccato al parapetto.
Dopo qualche minuto, Urraca percepì di nuovo il suono di un motore e di lì a poco, scorse, a nord, la prua bianca di un motoscafo d’alto mare. La nuova imbarcazione governò rapidamente e con molta perizia accostandosi di poppa alla lancia in attesa.
Sempre appiattito nella sua nicchia di scogli, il kuna vide un uomo scendere attraverso una piccola passerella sulla prima imbarcazione, mentre altri due restavano in piedi sul ponte imbracciando due fucili mitragliatori con le canne abbassate. Se avevano qualcosa da temere, dunque, questo qualcosa non proveniva dalla barca in attesa. Il nuovo arrivato aveva capelli corti e chiari, pantaloni lunghi e una giacca a vento chiara e teneva sotto un braccio qualcosa che somigliava a una scatola, apparentemente metallica, rettangolare e lunga una trentina di centimetri. Sentì i due uomini salutarsi con una certa familiarità e capì dall’accento che il navigatore solitario era nordamericano. L’uomo con il berretto prese la piccola scatola e appoggiandola su una gamba l’aprì per controllarne il contenuto. Di nuovo i due si salutarono separandosi. Non appena l’uomo in giacca a vento fu a bordo, la potente imbarcazione riaccese i motori e virò nella direzione dalla quale era venuta. Il nordamericano,invece, sembrava non aver fretta. S’era acceso una sigaretta e, seduto al posto di guida, osservava le stelle. Dopo qualche boccata, si diresse verso poppa e cominciò a levare l’ancora. Fu in quel preciso momento che da uno degli atolli a est della barriera emerse dal nulla la sagoma di quella che aveva tutta l’aria di una motovedetta militare. A prua, accanto ai parapetti, si scorgevano uomini armati, con berretti a visiera e tute di tipo militare dal colore verdescuro . Un faro potente si accese, inquadrando la piccola lancia, quando la motovedetta era ancora a un centinaio di metri. Urraca cominciò a spostarsi verso il lato sinistro dell’arco naturale, dove si era riparato, per nascondersi completamente alla vista della motovedetta. L’ultima cosa che vide fu l’uomo con il berretto che faceva scivolare in acqua, dal lato della poppa, la scatola che aveva ricevuto. Nascosto, con il corpo accovacciato tra gli scogli, il kuna poteva solo ascoltare i rumori concitati di un abbordaggio in piena regola da parte degli uomini in tuta.
Dalle intimazioni, urlate da quello che doveva essere il capo del gruppo degli assalitori, capì che sapevano della consegna. Lo raggiunsero altri rumori, altre grida minacciose poi una raffica breve. Seguirono per alcuni minuti ordini secchi misti a imprecazioni e un trapestio dal quale comprese che stavano frugando l’imbarcazione. Trascorse una mezzora lunga un secolo prima che la voce rabbiosa dell’uomo che dirigeva il commando desse l’ordine di ritirarsi. Ancora pochi minuti e sentì il rombo del motore della motovedetta che virava. Come di incanto la scogliera si accese improvvisamente di riverberi sanguigni. Avevano dato fuoco al motoscafo. Continuò a rimanere nascosto dov’era fino al sopraggiungere di una violenta esplosione seguita da una pioggia di frammenti incandescenti scagliati sugli scogli. Solo allora cominciò a scendere cautamente dirigendosi poi a nuoto verso il punto dove aveva accostato la canoa.
Al villaggio Urraca ebbe il suo da fare per tranquillizzare gli animi, senza per altro far parola del fatto che era stato involontario testimone di qualcosa di grave e misterioso. Alcuni giovani, che si erano spinti con le loro canoe sul luogo dell’esplosione, tornarono dicendo che se l’imbarcazione esplosa aveva a bordo delle persone, nessuno di essi era sopravvissuto né c’era traccia alcuna dei loro corpi.
Bisognava avvertire comunque le autorità a Panama e Juan Baptista provvide a farlo personalmente utilizzando la radio dell’ambulatorio.
- No - disse al funzionario che dall’altro capo della radio chiedeva dettagli - c’è stato un incendio oltre la scogliera e poi una esplosione fortissima. Si, dai frammenti potrebbe trattarsi di una imbarcazione, ma non sappiamo altro: siamo stati svegliati dall’incendio. No, non ci sono corpi. Bene, aspetteremo i vostri investigatori.-
Urraca dormì poco quella notte. Pensò che la cosa migliore era di non dire neanche alla polizia panamense quanto aveva visto. I padroni di quel tratto del Caribe erano i narcotrafficanti e i gringos, i nordamericani; e con gli uni e gli altri era meglio per un kuna non avere a che fare. Quella scatola che era passata di mano doveva contenere qualcosa di molto importante se l’uomo del motoscafo aveva preferito buttarla in mare piuttosto che consegnarla. E per questo probabilmente era morto. Ma gli altri chi erano? Narcotrafficanti ? Guardacoste colombiani? O addirittura panamensi? Decise che valeva la pena aspettare le prime luci dell’alba per immergersi in quel tratto di mare, sotto l’arco di roccia, per cercare quella piccola scatola argentata.

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