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giovedì 24 febbraio 2011

Oltre

Cambiamo l’agenda della comunicazione dei messaggi televisivi. Muoviamoci in sintonia con il senso comune. Voi che avete la nostra rappresentanza di oppositori andate pure nei talk show ma cambiate registro e premettete al conduttore di turno semplicemente:

"Io sono qui, in questa trasmissione, per potere parlare con le cittadine e i cittadini italiani, e non per interloquire con gli esponenti di una maggioranza che ha mentito al Paese e ai quali non riconosco nessun diritto di rappresentanza dell’interezza della Nazione. Il tradimento da parte del Premier dell’aticolo 54 della Costituzione, il voto parlamentare sulla menzogna della telefonata in questura, nell’esercizio delle funzioni, a favore della “nipotedi Mubarak” al fine di evitare un incidente diplomatico, la riproposizione di leggi per sottrarsi al giudizio, sono uno sfregio irrimediabile all’immagine dell’Italia nel mondo e su di essi il giudizio della stragrande maggioranza degli italiani è netto. Si arrocchino pure, costoro, a difesa di un consenso di un terzo del paese ottenuto nel 2008, con il concorso di una legge truffa che ha espropriato i cittadini del diritto di scelta dei propri singoli rappresentanti. Questo consenso si sta dissolvendo mentre cresce come un’onda di piena l’opposizione intorno ai valori fondamentali, dell’onore, della disciplina, del rispetto della persona, della meritocrazia, dell’uguaglianza davanti alla legge. Sono qui, dunque non come un’opposizione partitica, ma come rappresentante di chi, senza distinzione di parte, ritiene che la misura è colma oltre ogni sopportabile decenza e mi chiede che si senta la sua voce nel mondo per segnalare che l’italia non è il paese del bunga bunga. Non permetteremo che Sansone muoia con tutti i filistei."

Poi guardate la telecamera e parlateci delle cinque o sei cose fondamentali che uniscono l’Italia, umilmente, con autocritica e con generosità.

sabato 19 febbraio 2011

Indifferenti

Tempo fa ho postato su facebook poche righe di questa pagina  scritta da Antonio Gramsci nel 1917. Alcuni amici, forse una decina, espresseroil loro commento favorevole. Altri condivisero la citazione. Immagino quindi che qualche centinaio di persone si é soffermata a leggerlo. Ieri sera, però é accaduto qualcosa di straordinario, per merito delle Jene, Luca e Paolo, che, al festival di San Remo, hanno dato voce a Gramsci, lo hanno invitato a parlare di fronte a qualche decina di milioni di Italiani. E le parole che qui riporto integralmente risuonano con la potenza di una sconvolgente attualità. Anche per questo, quando sul finale é apparsa la foto di Anntonio Gramsci giovane, con i suoi occhi penetranti e cerulei, si é levato l'applauso dell'Ariston.




INDIFFERENTI

Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.

L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.

I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.


Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.


"La Città futura", pp. 1-1 Raccolto in SG, 78-80.

lunedì 14 febbraio 2011

L'inverno che sta per finire e la primavera prossima ventura...

Ci sono giorni, parafrasando Hegel, in cui lo spirito pubblico si materializza, si manifesta e ragiona collettivamente. Sono così i giorni che stiamo vivendo da quando la Procura di Milano, adempiendo ai dettami della legge, ha mostrato il Re nudo di fronte a uno dei reati più ignobili verso la dignità delle persone. Questi giorni, che non si sono ancora conclusi con la formalizzazione della condanna, valgono, per la coscienza nazionale di un popolo, più di mille seminari, di cento saggi pensosi, di decine di talk show di approfondimento. La sensibilità popolare si desta e valuta, con una lucidità fino ad allora impensabile, la distanza che separa il potere dai propri sogni, dai propri diritti, dalla propria vita.

Scopre ad esempio, grazie allo spiegamento inaudito dell’immenso potere mediatico convocato a difesa dall’uomo che delinque contro il suo popolo, che la misura dell’analfabetismo di ritorno, rimasto finora limitato alle statistiche specialistiche, è sommamente diffuso tra lo stato maggiore raccolto nel governo e tra i suoi ferventi servitori e scopre quanto siano distanti dalla propria normalità
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Scopre, nella ottusa disciplina a difesa del Capo, che il pubblico erario finanzia un partito che non ha procedure democratiche e dove il dissenso non ha vita neanche come probabilità statistica.

Scopre che la docilità nel prostituirsi e nel concedere favori sessuali è un criterio di selezione per posti di rappresentanza politica.

Scopre che i ministri, che dovrebbero curare la res pubblica nell’interesse di tutti si piegano a docili a squallidi servigi in soccorso del loro protettore.

Scopre donne dagli occhi limpidi e bellissimi, che pronunciano parole corrette: laiche, cattoliche, di destra, di sinistra, italiche e immigrate che si alzano in piedi e ci restituiscono orgoglio nel mondo.

Scopre una donna che dirige il più grande sindacato elencare i vorrei del suo genere e di tutti e scopre una suora, ornata della semplice aura della sua umana dolcezza e della fede cattolica, rivendicare, senza richiami al dogma, il valore e i diritti della persona e della donna. Scopre, cioè, che le ispirazioni ideali profonde del racconto italiano, sono le uniche che producono gesti di dignità e meritevoli di rispetto nella comunità nazionale e fuori di essa.

Scopre che democrazia non è delega, che democrazia è partecipazione, lotta, richiesta di parola e che sulla riva opposta del Mediterraneo, altri popoli pagano un prezzo alto di sangue per conquistarle.

Scopre che la Carta Costituzionale non è una polverosa raccolta di articoli inerti ma l’arma più potente che il sacrificio di tanti giovani ha messo a disposizione di un popolo.

Scopre che il Presidente della Repubblica non è un garante disarmato, icona simbolica e scolorita dell’unità del Paese ma un punto di riferimento sicuro contro l'avventurismo e l'illegalismo.

Scopre che si possono avere opinioni politiche radicalmente diverse ma sul bene comune dell’unità della Patria e delle sue leggi si deve essere uniti.

Abbiamo ancora tante insidie da superare prima che questo inverno finisca, ma la primavera che si avvicina non sarà la stessa degli anni passati: le lezioni che tutti stiamo apprendendo in questi giorni ci indicano che è possibile una nuova Liberazione.


giovedì 10 febbraio 2011

Individui e comunità

Il pensiero é attività squisitamente individuale ma senza un racconto, senza una connessione c'é solo il vuoto.
Puoi credere di colmarlo comprando gli spettatori ma alla fine, ogni volta sei più solo, e più povero. La comunità é la salvezza dalla disperazione e dal vuoto narcisismo. La comunità solidale, sobria, in marcia é la letteratura che racconta la vitla a e perpetua.

sabato 5 febbraio 2011

L'imponderabile

Spesso accolliamo al caso i nostri errori. In realtà siamo parte di una interconnessione talmente ramificata che alla fine smettiamo, per stanchezza,  di controllare tutti i nostri comportamenti e ci abbandoniamo liberamente agli impulsi momentanei.. Spesso ne deriva una sequenza di eventi dolorosi. Irrimediabili? I fatti compiuti sono sempre irrimediabili e il corso delle cose cambia la propriaa direzione. Non cambia il proprio sentire, cambia la cronaca.