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giovedì 7 agosto 2008

Racconti - Mimosa e Platano -

Mimosa e Platano erano amanti. Entrambi sposati, entrambi genitori di figli a loro volta genitori. Si erano conosciuti a una sagra di un paese degli Appennini. Una delle mille sagre dei mille paesi che fioriscono arroccati sui mille monti che tagliano la penisola da nord a sud. Era una sagra di poeti a braccio e vi accorrevano i sognatori da tutto il mediterraneo. Mimosa e Platano decisero di parteciparvi, già avanti negli anni, perché si sa la poesia non ha età né luoghi obbligati e quando ti prende ti trascina via.Quando Mimosa salì sul Palco musicale che si ergeva al centro della villa comunale del Paese che c’è - un palco pieno di luci sfavillanti e di stucchi dorati con motivi floreali, strumenti musicali e putti dalle piccole guance gonfie – i paesani si tacquero. La vista di quella donna minuta e leggiadra e dei suoi grandi occhi sognanti attirò l’attenzione di uomini, donne, vecchi e bambini. Anche i baffuti carabinieri, con i loro sciaboloni da cerimonia, messi a guardia della scaletta d’accesso dalle Locali Autorità, non poterono fare a meno di voltarsi.I versi declamati da Mimosa, con una voce che sembrò agli astanti appartenere a un angelo, aleggiarono, nell’aria fresca della sera, come ali di farfalla, per trasformarsi, nel finale, in petali profumati di rose lanciati, dalla balaustra del palco, da bambine in tutù di candido tulle. Erano tempi nei quali andavano di moda i teosofi e le loro classicheggianti sceneggiature arcadiche. I più distratti, presi dalla poesia, gridarono al miracolo e si spellarono le mani in grandi applausi.Tra i plaudenti c’era Platano, un pezzo di marcantonio, alto e corpulento, dalla bella testa da antico romano e le basette ricciolute. Platano era in fila tra i poeti partecipanti alla sfida. I versi, la voce e la figurina di Mimosa, fragile come una porcellana, gli catturarono il cuore per sempre. La platea osannava la poetessa e numerosi erano le richieste di bis. “Ancora, ancora! Cantaci ancora le tue poesie, Tuttocchi ! “ Così in molti l’avevano immediatamente soprannominata, incantati dai grandi e profondi occhi neri. Subito dopo, Platano salì sul Palco musicale. Quando Mimosa lo vide andare verso di lei, per prendere il suo posto sul podio, guardò quello sguardo ardente che le gridava silenziosamente tutto l’amore del mondo, ed ebbe un improvviso deliquio.Platano si slanciò verso di lei e l’afferrò con le sue forti braccia prima che potesse cadere. Per un attimo la folla di spettatori ammutolì. Poi, quando Platano, con il suo slancio rapido e leggero come il vento, evitò a Tuttocchi una rovinosa caduta, il tripudio salì alle stelle. Nessuno, tra i presenti, se la sarebbe mai aspettata tanta prontezza di riflessi da un omone così grande e tutti capirono che qualche forza misteriosa aveva dato all’uomo l’energia necessaria.Anche il marito di Mimosa - un uomo elegante, distinto, dai modi misurati e con una catena d’oro massiccio che gli attraversava il gilet - accorse in soccorso della sposa. Quando la raggiunse, dopo che i Carabinieri di guardia ci avevano messo un po’ di tempo a capire chi fosse, era ormai troppo tardi: il cuore di Mimosa batteva solo per Platano. Qualcosa l’uomo intravide, guardando gli sguardi fusi di Mimosa e Platano, ma l’intervento degli organizzatori, preoccupati che la sfida dei poeti continuasse, evitò che l’intuizione s’allargasse per lasciare il posto a una drammatica certezza.Arrivò il momento di Platano. Se i versi di Mimosa erano stati i messaggeri alati di un cuore in attesa e prigioniero dei sogni, quelli dell’uomo furono la risposta di un’anima catturata dall’amore improvviso e definitivo. Una sinfonia di passione sensuale e struggente calò sulla gente sempre più numerosa. Le donne si sentirono percorrere da brividi. Le più giovani, non ancora maritate, guardarono i loro promessi per capire se dentro di loro albergasse qualcosa di simile; le mogli piantarono negli occhi dei mariti sguardi inquieti e pieni di rimprovero; le più vecchie, senza speranze da coltivare, si lasciarono cullare da quei versi, sopraffatte da una nostalgia malinconica.Quando la voce profonda di Platano, resa ancora più roca dalla sua passione per i sigari, si zittì, quella tempesta impetuosa, come di mare ribollente di energia e di vita, aveva a tal punto scosso gli animi che un improvviso smarrimento s’impossessò degli astanti. Sembrava che tutti dicessero a se stessi: “ E ora cosa accadrà?” Poi fissarono l’uomo al centro del Palco musicale. Le luci sembravano ora meno luminose intorno a quella figura ancora scossa che ardeva come una torcia.L’ovazione arrivò lunghissima e scrosciante e ognuno pensava che Platano sarebbe stato il vincitore della sfida di quell’anno. Nessuno fece caso al parlottare fitto delle Locali Autorità - il Parroco e il Sindaco in primis - sedute tra la Giuria. Ma chi era nei pressi non poté fare a meno di ascoltare la filippica del prete contro l’eccessiva carnalità dei versi di Platano e la subdola perfidia con la quale mise in guardia gli uomini della Giuria sui pericoli di un Amor profano da sempre infernale seduttore delle donne. - Meglio premiare qualche poeta meno appassionato e trasgressivo e più rispettoso degli amori santificati con l’acqua benedetta.- furono le parole del prelato.Platano, a dispetto di quanto decretato in cuor suo dal pubblico, non vinse la gara. Ma di questo l’uomo non si curò minimamente. Tutti i suoi pensieri erano per Mimosa: quella sera era nato, tra loro, un legame indistruttibile.Ogni anno, negli anni che seguirono, Mimosa e Platano parteciparono alla gara di poesia del Paese che c’é. Con il pretesto della fragilità dei suoi polmoni, Mimosa aveva convinto il suo distinto consorte che un mese di buona aria dei monti dell’Appennino non avrebbe potuto che giovarle. Per ottenerne il consenso gli promise di rinunciare a tutte le gare di poesie alle quali lo costringeva ad accompagnarla. Il marito, che seguiva la moglie in quelle gare con una malcelata disapprovazione per quella che, da pratico ed efficiente uomo di mondo e di affari, considerava una romanticheria adolescente, fu oltremodo contento di quella soluzione. Pur conservando, in fondo all’anima, una qualche inquietudine sulle ragioni del deliquio di Mimosa, prevalse in lui l’abitudine a non curarsi troppo degli effetti che i movimenti dell’animo di una donna sensibile potevano scatenare.Fu così che i paesani del Paese che c’è, ogni anno, un mese prima della Sagra, vedevano scendere dalla corriera, un giorno dopo l’altro, la figurina di Mimosa e il corpaccione di Platano. Prendevano alloggio in due distinte locande e gli inservienti avevano il loro bel da fare per portare la grande quantità di cappelliere, borse e bauli da viaggio che i due amanti recavano con sé. A vedere quella smisurata teoria di bagagli sembrava, ogni volta, che Mimosa e Platano avessero deciso di trasferirsi per sempre nel paese dove era nato il loro amore. Puntualmente ogni anno, dopo la gara di poesia, prima Platano e poi Mimosa, risalivano sul vecchio postale che li avrebbe portati chissà dove, lasciandosi dietro una scia di malinconica delusione.Può darsi che i due innamorati, quando preparavano il loro bagaglio, fossero sfiorati dall’idea di non tornare più nelle rispettive dimore coniugali. Tuttavia questo non accadde mai e tutti in paese poterono continuare ad ammirare, negli anni che li ebbero compaesani illustri, i cappellini che Mimosa cambiava ogni giorno assieme ai suoi bellissimi scialle: sembravano ali ripiegate sul punto di trascinarsela in volo. Gli uomini del Circolo Sociale invidiarono,invece, i panciotti chiassosi di Platano e i suoi bellissimi bastoni da passeggio.Nessuno, nel Paese che c’è, poteva affermare che Mimosa e Platano avevano mai dormito, in quegli anni, una sola notte insieme. Ogni abitante, grande o piccolo che fosse, li aveva però incontrati, almeno una volta, all’alba o al tramonto, lungo i sentieri profumati dei boschi, mano nella mano, con la testa di lei appena appoggiata sul petto di lui e gli occhi ridenti. Tutti giuravano, dopo quegli incontri, che l’aria, intorno alla coppia, riluceva e incorniciava gli amanti in un cerchio splendente.Poi un giorno la corriera si fermò nella piazza del Municipio e ne scese il distinto consorte di Mimosa con la sua catena d’oro al gilet, ancora più grande e massiccia di sempre. - Deve valere almeno duecento lire. - disse lo Speziale, sulla porta della bottega, indicandola al Segretario comunale. Poi la loro attenzione fu catturata da due donne vestite da infermiere che aiutarono a scendere, sorreggendola, Mimosa. Pallida, quasi diafana, lasciava intravedere, sotto le falde fluttuanti di un cappello di tulle nero, in fondo ad occhiaie ancora più scure e profonde di sempre, gli occhi ardenti che avevano conquistato la folla tanti anni prima.Tuttocchi sembrava malata, smagrita fino all’inverosimile. Ma non aveva perduto quella tenera aria di passero che aveva intenerito chiunque nel paese avesse un cuore buono. La notizia si sparse in un batter d’occhio. Ognuno aspettava di capire cosa stesse accadendo; il significato della presenza inaspettata del marito e se la malattia di Mimosa potesse esserle fatale. Con ansia gli occhi si appuntarono sulla corriera del giorno dopo per vederne scendere Platano. Inutilmente. Né quel giorno né i giorni dopo. Nessuno avrebbe più visto il poeta dai panciotti colorati né i suoi artistici bastoni.Trascorse una settimana con il fiato sospeso. I perché si affollavano nella mente e nei discorsi di tutti, ma dalla locanda, dove Mimosa, il consorte e le infermiere erano alloggiate, non filtrava alcuna notizia. D’altro canto, pur pungolati da tanti interrogativi, l’amore per i due poeti amanti fece sì che nessuno permettesse alla curiosità di trasformarsi in pettegolezzo e disturbare la sofferenza di Mimosa. La si vide ancora qualche volta. Appoggiata al braccio del marito, con le due infermiere sempre vicine, ripercorrere faticosamente i sentieri che l’avevano vista confondersi con Platano. Qualcuno giurò che le sue labbra erano accese da un tenero sorriso e le sue gote arrossate.Poi la notizia giunse ferale al finir dell’estate: Mimosa se n’era andata, al tramonto, tra le braccia del marito che non aveva mai smesso di starle accanto. Le Locali Autorità decretarono tre giorni di lutto cittadino, quanti ne erano toccati alla morte del Re. Il Parroco protestò perché i funerali non si sarebbero svolti in chiesa, ma le Locali Autorità, votandosi ormai a suffragio universale, pensarono bene di rispettare il dolore unanime dei loro elettori e non si curarono delle lagnanze.Una giornata di cielo azzurro e di voli di storni a disegnare l’aria, accompagnò le esequie. In molti avevano sperato che, almeno per quel giorno, Platano tornasse accanto alla sua amata poetessa. Invano. Fu allora che nei cuori più sensibili s’affacciò l’idea che il poeta fosse morto e che la sua morte aveva trascinato con sé quella di Mimosa, il cui cuore non aveva voluto continuare a vivere. Per quante indagini io abbia fatto, quando qualche anno dopo sono capitato nel Paese che c’é e ho appreso questo tenero episodio d’amore, non sono riuscito a svelare il mistero della scomparsa di Platano. Morto prima di Mimosa? come pensavano i più romantici o semplicemente scomparso perché la passione si era esaurita? come suggerivano lo Speziale, il Prete e il Maresciallo dei Carabinieri ? Credo che ognuno possa immaginarsi ciò che la propria natura gli suggerisce.Comunque le Locali Autorità hanno istituito un premio annuale di poesia e lo hanno intitolato All’amore eterno di Mimosa e Platano. Il Parroco, naturalmente, si è opposto.