Assieme all’astensionismo
cresciuto a dismisura, le principali
novità nell’orientamenti degli elettori italiani sono Beppe Grillo e Matteo
Renzi. Ma del comico genovese e di come si organizzerà per essere presente alle
elezioni di primavera, pare che nessuno sia preoccupato più di tanto. Come se
il lavoro di demolizione, fin qui svolto con l’uso sapiente delle nuove
tecnologie mediatiche, si fosse esaurito in cumuli di mattoni disgregati a
punteggiare la penisola, che esperti in riciclo si preoccuperanno di caricare su
camion capienti diversamente e localmente denominati. Probabilmente lo stesso
Beppe Grillo si è via via reso conto che senza un apparato “burocratico ed
esperto” non è in grado di passare dal movimento all’organizzazione e,
soprattutto, di mantenerne una disciplinata azione collettiva. Certo è che una domanda nuova,
in libera uscita, che si aggira tra il 12 e il 18% , sembra destinata, se non
si manifesteranno rappresentanti nazionalmente credibili, a ingrossare le file
dei populisti più sperimentati e anche quelle della nuova destra estrema.
Matteo Renzi, esploso come
fenomeno politico, più tardi del Movimento 5 Stelle, sembra invece far paura a
tutto l’establishment politico mediatico di destra, di centro e di sinistra. Ho
incluso la destra, perché non debbono ingannare gli endorsement, interessatamente
amplificati di personaggi dell’Italia gossippara, il cui naso, quando non è imbiancato dalla
cocaina, ama incipriarsi nel più popolare borotalco. Chi ha ingannato gli
italiani a destra, promettendo la rivoluzione liberale, teme strategicamente Matteo
Renzi molto di più di Bersani o di Vendola. Nell’immediato si augura piuttosto che
il dibattito interno al PD indebolisca quel risultato elettorale vincente che
lo stato maggiore ex DS ha ipotizzato estrapolandolo – illusoriamente – dalle elezioni
amministrative. Dico illusoriamente, perché non c’è giorno che passi che non
sfibri la tenuta democratica delle istituzioni, la credibilità dei partiti come
sono stati e sono. Insomma, gli scenari sui quali ragionano Casini, Bersani, Vendola, Di Pietro,
Maroni discendono da paradigmi che chi
frequenta un bar, un mercato, una sala d’attesa di un medico della mutua, sente
ormai completamente saltati nelle teste dei propri connazionali. Certo, Casini
e Bersani fondano le loro speranze elettorali sulla tenuta delle vecchie rispettive chiese, ma il terremoto è
stato profondo, ripetuto e gli sciami sismici persistono su ogni territorio.
Ci sono poi le élite, quelle che,
storicamente minoritarie, prefigurano assetti ai quali docilmente, ceti e
gruppi sociali dovrebbero con gratitudine, silenziosamente assoggettarsi. Soprattutto
oggi che governano e che un fondamentale servizio al paese lo hanno dato dopo
il ventennale disastro berlusconiano e l’altrettanta ventennale insipienza
politica del fronte opposto. Di questa élite Eugenio Scalari è un leader
indiscusso e autorevole. Ed è sceso in campo proprio lui, con inusitata
volgarità intellettuale e smisurata superbia per tentare di affogare sul
nascere il neonato Matteo Renzi, la sua proposta, il suo programma, di certo sentiti
molto pericolosi per i disegni di chi
non vuole che si disturbi una riedizione puramente emergenziale del governo
Monti.
Francamente non meno scandalo per
questo: mi verrebbe da dire, niente di nuovo sotto il sole: si sa che certe
figure da Gran Riserva, vengono tenute al riparo, dagli agoni dei tempi
normali, proprio per le situazioni di
grande crisi nell’assetto e nella tenuta politica di un paese. Intervenire per
salvare ma senza cambiare. Salvare, nella situazione italiana è già grande
merito, ma se non si cambia si ucciderà quel poco che resta del sistema
produttivo italiano e soprattutto dopo ottocento anni si inciderà
drammaticamente nella tenuta civile e umana della nostra storica specificità, i
Comuni.
E dunque il mio rammarico e la
mia critica si volgono nei confronti di tutte le figure vecchie e meno vecchie del riformismo italiano di matrice PCI,
soprattutto nei confronti di quelli che spregiativamente, in quella tradizione,
venivano indicati come miglioristi. Se, dopo ventitre anni di esperienza dalla
Bolognina, non hanno ancora capito che la sfida di Matteo Renzi è la vera sfida
liberale e riformista che rompe i vecchi e asfissianti paradigmi e continuano
la litania sul massimalismo non vedo cosa altro debba accadere per decidere
dove stare.