Noi siamo il risultato, non la causa. In
queste poche parole pronunciate dal capogruppo grillino al Senato c’è l’analisi
più precisa è inconfutabile del voto che ci ha consegnato questo micidiale
impasse politico. C’è anche l’indicazione della via maestra che avrebbe
dovuto seguire il PD.
Il candidato premier che ha vinto le
primarie e non è riuscito a conseguire una maggioranza autosufficiente ha avuto
molto tempo per valutare la situazione politica e trarne le necessarie e
fisiologiche conseguenze. Partendo innanzitutto da un punto, per il PD e per
lui – a torto o a ragione – invalicabile: l’impossibile alleanza con il PDL e
con la Lega. Tolta di mezzo “la grande coalizione”, Bersani non ha giudicato
l’exploit del M5S come gli stessi beneficati hanno fatto - Noi siamo il
risultato e non la causa - ma si è
affrettato, ahinoi, a considerarlo interlocutore politico tradizionale, sia
pure novissimo. E quindi ha puntato sul M5s la propria strategia per formare un
governo e per non trarre subito l’unica conseguenza politica possibile dal
voto: le proprie dimissioni.
Quell’atto allora avrebbe chiarito più di
ogni altro che gli sconfitti, in modi e con perdite di consenso diversi, erano
lui e Berlusconi, imputati dal popolo italiano di responsabilità simili anche se
non identiche. Avrebbe confermato
orgoglio e dignità del proprio partito che ha dentro risorse nuove e non coinvolgibili nel tutti a casa,
avrebbe consegnato le redini al Presidente della Repubblica per costruire un
percorso di breve momento per l’emergenza e per riportare il paese al voto
nella chiarezza senza che gli apprendisti stregoni del tanto peggio tanto
meglio potessero speculare sulle ammucchiate della casta. Invece si è scelta
un’altra strada che ha procurato in un mese non pochi danni alla credibilità
delle istituzioni, attraverso il corteggiamento insensato di Grillo e
Casaleggio .
In questi giorni, poi,
nell’autodafè dello streaming, ha addirittura definito il suo beffardo
e offensivo interlocutore come una grande forza, che merita rispetto. Come
possa suscitare simili considerazione una formazione democraticamente opaca ed
esplicitamente eversiva lo sa solo Giove. E quanto questo giudizio confonda
ancora di più i cittadini italiani e danneggi nella prospettiva prossima lo stesso PD è del tutto evidente.
Nel frattempo si sbriciola tutto: un intero gruppo parlamentare invade
minaccioso gli uffici dei magistrati inquirenti e giudicanti oltraggiando
l’indipendenza di un potere dello Stato;
un ministro degli esteri da operetta, con interessi di carriera ancora
oscuri ma indubitabilmente costruiti sulla pelle di due militari italiani,
butta alle ortiche in diretta parlamentare, decoro delle istituzioni, forma e
lealtà politica al suo primo ministro; un assessore alla cultura di una grande
regione, in trasferta a Bruxelles, dipinge il parlamento italiano come un
lupanare; un sindacato di polizia scende in piazza per manifestare contro una
sentenza, oltraggiando una madre il cui
figlio è morto in seguito alle violenze dei colleghi condannati; la crsi
economica sfianca i più deboli e li consegna inermi ad ogni populismo. A Roma,
un partito senza governo e senza una idea si abbandona all’orgia delle primarie
con l’assalto ai municipi che dovrebbero, nella loro pletoricità assembleare e
inetta , essere oggetto di cancellazione così come si auspica per le province.
C’è da reagire a tutto questo. Prendere atto sobriamente che un gruppo dirigente ha sbagliato. Sbagliato gravemente sì, perchè si è ostinato a non ascoltare e a non leggere i messaggi che venivano con nettezza dai cittadini, strumentalizzando i quali due parvenu della politica come Grillo e .Casaleggio hanno raccolto il consenso di un terzo degli italiani. Prima si fa un congresso per definire se è ancora valida
l’ispirazione del Lingotto e si fanno le scelte conseguenti e meglio è per il
paese e per quanti non vogliono starsene con le mani in mano a guardare non l’agonia della seconda repubblica ma
l’involuzione della democrazia.