Ogni anno, la prima domenica dopo Pasqua, nel vecchio borgo di S. Maria di Galeria si svolgeva una grande festa e vi arrivavano le famiglie di Osteria Nuova, di Cesano e dei casali sparsi tra la via Boccea, la Braccianese e la Cassia. Quella domenica di Aprile del ’43 Alfio e Mario Marini s’erano recati al vecchio borgo, tirati a lucido, su un calesse al quale Alfio aveva attaccato un cavalla di quattro anni, del padre Salvatore. I due cugini, poco più che adolescenti, tutti e due dai capelli chiari e con la pelle bruciata dal sole della campagna romana, erano figli più piccoli di Salvatore e Vincenzo Marini: due fratelli, allevatori di pecore, stabilitisi a Cesano con il padre Giuseppe, i fratelli, le sorelle e gli zii, da Acquacanina nelle Marche, nella seconda metà dell’Ottocento. Alfio e Mario vevano in mente di passare una giornata in allegria dietro le sottane di qualche giovinetta del contado, buttandosi alle spalle la dura fatica quotidiana di allevatori e le ansie alimentate dalla guerra in corso. Sul finire del pomeriggio, vuoi per il ponentino che accendeva il suo carattere ardente, vuoi per l’effetto dei numerosi bicchieri di vino con i quali aveva innaffiato un paio di abbacchi alla brace, Alfio si girò verso l’autista che guidava la corriera in servizio tra Cesano e Osteria Nuova e lo sfidò a una gara di corsa con il suo calesse, nel tragitto di ritorno. L’autista guardò il giovane spavaldo e gli scoppiò a ridere in faccia, prendendolo per matto. Incitato però dai passeggeri, inciucchiti dal vino che era scorso abbondante, e da quanti, incuriositi dalla stravaganza dell’idea, s’erano radunati attorno alla corriera e al calesse, decise di accettare; non senza aver dato una occhiata indagatrice alla cavalla massiccia e mansueta che, inconsapevole di quanto stava per accadere, era concentrata a strappare qualche filo d’erba dall’orlo della cunetta. Al conducente la cavalla sembrò tutt’altro che gagliarda trottatrice capace di impensierire il suo otto cilindri, uscito, lucido e rombante, appena quattro anni prima, dalle Officine Meccaniche.
Ebbe inizio così la gara tra la cavalla e la corriera. A compensare i lazzi e i fischi dei molti che non scommettevano un soldo bucato sul biondino di Cesano, c’erano gli sguardi ammiccanti e i gridolini di gioia delle numerose giovinette da marito che si mangiavano con gli occhi i due cugini a cassetta; e soprattutto l’entusiasmo dei tanti fanciulli che subito avevano preso partito per la cavalla in quella inusitata sfida dal sapore antifuturista. ed ecologico. La corriera partì sbuffando e con uno stridore così lamentoso che ad ogni cambio di marcia sembrava che i bulloni del banco motore stessero per saltare. Tuttavia ai primi trecento metri, dal momento che la cavalla sembrava non aver alcuna voglia di andare e la strada dritta favoriva la progressione del mezzo meccanico, Alfio e Mario Marini si ritrovarono avvolti da una nuvola di polvere e a respirare il fumaccio nero che la marmitta gli sputava addosso senza riguardo alcuno per i nostri giovani eroi. Una simile partenza fu accolta con soddisfazione dai tanti che avevano subitaneamente bollato la sfida come impossibile e parimenti con cocente delusione dalle giovinette da marito, ognuna delle quali già sognava di conquistare uno dei due fantini. A mantenersi intatto era rimasto, come spesso avviene in tante vicende della vita, l’incitamento dei più piccoli, i quali correvano dietro il calesse quasi volessero aiutarlo, spingendolo con le loro grida. Sembrava dunque che quella tenzone così temeraria, che per un momento aveva acceso la fantasia e l’animo di quelli più disposti a sognare, stesse volgendo a favore della macchina e a molti, tra quelli assiepati alla partenza, non scorgendosi ormai il teatro della corsa, fu facile dare per scontata la sconfitta della cavalla e dei suoi improvvidi conducenti.
Si sa che la vita riserba sempre grandi sorprese e a poche centinaia di metri dall’arrivo avvenne il miracolo che capovolse gli eventi. Nel rettilineo, che precedeva la grande curva a gomito prima del ponticello sulla ferrovia, la cavalla aveva innescato un trotto serrato e potente e riusciva a non rompere nonostante la pressione che Alfio continuava a metterle addosso con urla, redini e frustino. A vederla così, tesa nello sforzo e armoniosa nei movimenti, non aveva più nulla del tranquillo animale della partenza. Sembrava che tra i due giovani a cassetta e la cavalla si fosse stabilita una simbiosi: la pazza idea di battere la macchina univa i due uomini e l’animale. Sarebbe stato sufficiente questo spunto incredibile, questo sforzo comune a permettere di recuperare il ritardo? No, nonostante la cavalla procedesse con rabbia sovrannaturale, schiumando sudore e prossima a scoppiare, nessun sorpasso sarebbe stato possibile se l’autista avesse avuto nel cuore il sangue sufficiente a non fargli scalare le marce e a non frenare all’imbocco della curva.
Ebbe inizio così la gara tra la cavalla e la corriera. A compensare i lazzi e i fischi dei molti che non scommettevano un soldo bucato sul biondino di Cesano, c’erano gli sguardi ammiccanti e i gridolini di gioia delle numerose giovinette da marito che si mangiavano con gli occhi i due cugini a cassetta; e soprattutto l’entusiasmo dei tanti fanciulli che subito avevano preso partito per la cavalla in quella inusitata sfida dal sapore antifuturista. ed ecologico. La corriera partì sbuffando e con uno stridore così lamentoso che ad ogni cambio di marcia sembrava che i bulloni del banco motore stessero per saltare. Tuttavia ai primi trecento metri, dal momento che la cavalla sembrava non aver alcuna voglia di andare e la strada dritta favoriva la progressione del mezzo meccanico, Alfio e Mario Marini si ritrovarono avvolti da una nuvola di polvere e a respirare il fumaccio nero che la marmitta gli sputava addosso senza riguardo alcuno per i nostri giovani eroi. Una simile partenza fu accolta con soddisfazione dai tanti che avevano subitaneamente bollato la sfida come impossibile e parimenti con cocente delusione dalle giovinette da marito, ognuna delle quali già sognava di conquistare uno dei due fantini. A mantenersi intatto era rimasto, come spesso avviene in tante vicende della vita, l’incitamento dei più piccoli, i quali correvano dietro il calesse quasi volessero aiutarlo, spingendolo con le loro grida. Sembrava dunque che quella tenzone così temeraria, che per un momento aveva acceso la fantasia e l’animo di quelli più disposti a sognare, stesse volgendo a favore della macchina e a molti, tra quelli assiepati alla partenza, non scorgendosi ormai il teatro della corsa, fu facile dare per scontata la sconfitta della cavalla e dei suoi improvvidi conducenti.
Si sa che la vita riserba sempre grandi sorprese e a poche centinaia di metri dall’arrivo avvenne il miracolo che capovolse gli eventi. Nel rettilineo, che precedeva la grande curva a gomito prima del ponticello sulla ferrovia, la cavalla aveva innescato un trotto serrato e potente e riusciva a non rompere nonostante la pressione che Alfio continuava a metterle addosso con urla, redini e frustino. A vederla così, tesa nello sforzo e armoniosa nei movimenti, non aveva più nulla del tranquillo animale della partenza. Sembrava che tra i due giovani a cassetta e la cavalla si fosse stabilita una simbiosi: la pazza idea di battere la macchina univa i due uomini e l’animale. Sarebbe stato sufficiente questo spunto incredibile, questo sforzo comune a permettere di recuperare il ritardo? No, nonostante la cavalla procedesse con rabbia sovrannaturale, schiumando sudore e prossima a scoppiare, nessun sorpasso sarebbe stato possibile se l’autista avesse avuto nel cuore il sangue sufficiente a non fargli scalare le marce e a non frenare all’imbocco della curva.
Fu così che i passeggeri affacciati ai finestrini e i pochi, scesi dal treno, che aspettavano la corriera sul piazzale della stazione, furono testimoni dell’impensabile sorpasso del postale da parte della cavalla.