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lunedì 30 giugno 2008

All'alba del terzo millennio




Fatti pioggia


Unica amante
ritrovata
attesa
accolta per sempre
bagnami.

Bagnami
e mentre ti sfioro
la bocca
e le pupille
il palato
e il collo
il petto
e il ventre
rinnova il tuo trionfo
sul mio corpo mortale
e lascia che i miei occhi
si accechino.

Tra la spalla e il collo
segnami.
Chiudi il cerchio dei tuoi denti
mentre ritorno
infisso alla matrice
a cercare la vita











Dopo di me


Rompono il flusso
delle domande inquiete
e dei giorni scontati
le teste chine dei figli
a decifrare i segni del loro sapere.
La monotonia delle ore
e il disincanto
s’infrangono al loro cospetto.

Accolgo
senza mai smemorarmi
il solo amore
che possiede il domani
e spio alacremente
ogni accadimento
alle sue frontiere.

Dinanzi ad attese
che non sono mie
e che hanno il mio sangue
per quanto desideri ritrarmi
s’abbatte in mille pezzi
la statua di bronzo
delle mie certezze.

Ora scruto l’orizzonte.
Ora m’ingegno
a imbrigliare il vento.
Ora sottraggo i semi
ai tordi infreddoliti
e copro il pane lievito.
Ora riparo il tetto.

E quando gli occhi
mossi dalla mia immaginata carezza
si levano a incrociare i miei
leggo i segni della semina.
Quel tenero
saldo sorriso
mi restituisce più forte
alla filosofia.











L'amore diverso


Occhi scuri che brillano.

Tra la bocca e il seno

si libera il tuo desiderio

nell’impavida gola.


Occhi scuri che celano.

Pensieri segreti

e palpiti audaci

e sogni di adolescente.


Aspettavi trepida e incerta

sospesa evanescenza

un altro destino d’amore

e le parole che non avevi

mai ascoltate.


Finalmente é giunto

e ti specchi.

Scopri

negli occhi dell' amante

la tua bellezza

libera e incantata

timida e diversa.











Corpora


Cadono a gocce i pensieri

su un letto caldo di noia

rimbalzando pigri

su profili già decifrati.

Non resta che attendere la notte.

Quando ogni cosa annerisce

e gli occhi cedono il passo

alla seduzione dei sogni.









A te


A te.

Amore sconosciuto

dalla postura quieta.

Amico del tempo lento.

Occhi che hanno attraversato

mille sentieri e vissuto mille vite.

Ami la musica a la carte

rhythm and blues

dei tuoi pensieri filigranati.

Conviene invocarti

solo se si hanno polsi d’acciaio

e cuore forte.

A te

gli auguri


per un altro giro sull’ellissi.










Corrispondenze biunivoche


Corrispondenze biunivoche
tra forma e sostanza
dissolvono in sequenza
gli affanni della mente.
Il silenzio è il verbo
di iridi confuse
oltre il tempo e il luogo.
Eppure
movimenti diacronici
di esperienze altre
frenano i gesti
nati da un identico respiro.
I tuoi simulacri banchettano
con ossa calcinate
da desideri annoiati.
Parodie senza palpiti
d’innocenza negata.
Non chiedo ragione alle stelle
di fuochi perenni
su traettorie immutabili.
E' alla tua luce
che chiedo coscienza.
Nascosta
dietro porte
di palissandro intarsiato
soffochi il grido
della tua carne placata
tra l’ignavia dei molti
inutili amanti.
Di tutte le stridule paure
guardiane infaticabili e invidiose
la più grande é quella
di occhi finalmente testimoni
della tua verità.
E questo temi.











Unica


Non ti ho incontrata
pellegrino
calpestando
le mille vie della rosa dei venti.
Né immaginata
tra gli infiniti giochi della mente.
Niente di simile a te
prima.
Niente dopo la tua epifania.
Questo ti rende unica
ai miei occhi
come solo a chi legge
appare la poesia.
Il tuo enigma risolto
mi appartiene.
I tuoi pianeti mi appartengono.
Solo ti è concesso

il libero uso delle superfici.









La libreria


Risuona la mia mansarda
del fragore delle armi di Omero.
La voce profonda del Bardo di Avon
racconta profetica
le passioni dei potenti
gli amori delle regine
i giochi degli elfi.

Scende dagli scaffali disordinati
il bisbiglio dei contemporanei.
Si accapigliano
Clio e Urania
e sovrasta
il consesso di uomini virtuosi
l’eco risorgente
della domanda che precede l’azione
scagliata dall’uomo di Lena.

Al tramonto
la luce intenerisce i colori
e mi siedo
ad ascoltare in silenzio
la voce dei poeti
che zittisce tutti.










Pensieri all'alba


Petali aperti
vermigli al desiderio
velati di rugiada
secreta
al grido della tua gola morbida
mai arresa alla tirannia del Tempo.

Si chiude l’anello
delle dita bianche e affusolate
lacerando il velo

di desideri antichi
inascoltati.






Delfi

Apparve improvviso
tra due colonne corinzie
velate di filigrana
il mistero di un sentiero
promesso e celato.

La mano della vestale
indicava la via
e i passi del credente
si persero

nella profondità dell’abisso.






Penelope


Pensi che ad attirarmi
siano le eleganti nere colonne del tuo Tempio?
O i marmi d’alabastro
e le purissime foglie d’acanto?
Che sia l’oro filigranato dei fregi
a spingermi a bussare?
Fino consumare le mie mani sulle tue porte?


Vedi nelle mie sembianze
l’impazienza insulsa del giovinetto?
o qualcosa del mio alfabeto
mi ha assomigliato
all’artista impotente che ti soggiace
privato del suo destino
ubriaco di note ed accordi?


Ho frantumato
calcinato
e poi rifuso ogni parola
per donartela nuova.
Non volevo ti giungessero echi
e suoni consumati dall’abitudine.
Belati di Proci pretendenti
ai piedi del tuo letto.


Là dove tessi la tela
voglio entrare.
Seduto accanto
a consegnarti la lana
e i fili dei tuoi tessuti.
Léggere le trame
dei tuoi volubili disegni
angeli annunciatori
di una verità che si concede

all’esule ritrovato.







Interazioni


Pianeti identici
di differenti ellissi
tracciate su piani paralleli.
Destinati a incontrarsi
al girare del secondo fuoco
l’uno sull’altro.

La collisione impossibile
non riguardò le maree.
Si mossero
oceani di immota energia
curvando superfici
ad altezze
di aria rarefatta
e cristalli di ghiaccio.

Sui fondali
scoperchiati
ignoti alle bussole
e a carte stellari
s’accesero tutti i colori.
Dal rosso al violetto
divamparono i fuochi.
Sogni imprigionati

all’alba delle galassie.






Ordalia

Scorrono i giorni
divorando
tenere carezze
intrepide.

I pensieri nuovi
attraversano
paesaggi senza mistero
profumati di mirto.
La gola risuona

rinnovando i sogni
e i trionfi

Al calar della notte
gli occhi riarsi
scrutano i confini
e i fuochi messaggeri
delle nuove ordalie.







Ellade

Erano senza colore
gli occhi dei suoi amanti
e quando implacabile
si volgeva all’Amore
non recava tracce
né ricordi.

Invocava il dio
testimone
delle sue vittorie
sul Tempo
e nei suo volto
rinnovava la linfa.


Intorno a lei gli altari
ancora caldi
mostravano i sacrifici
inconsapevoli
della sua purificazione.







L’ora di mezzo



Quando

le ore passate dall’alba

hanno già consumato

la speranza

e quelle della notte

giungono

recandoti un oblio

ogni volta più corto.

Quella

è l’ora di mezzo.

Il limbo inquieto

dove ti aggiri

immemore di banchetti profani

e solo la tua musica ti detta i passi.

Potrei allora apparirti

in quel tempio


che mai fu aperto ai barbari?

Chiudere il cerchio

con le mie mani?

Alfa e omega della tua vita?

Si. Potrei.

Percuotono i miei palmi

la grande porta invalicata

per giungerti di fronte.

Mille corpi abitano il mio

e solo uno é il volto.

Il tuo.









Ad portas


Chi è il Barbaro che si è avvicinato al mio Tempio?

Ha bussato con palmi aperti

privo di armi.

Dove attinge tanta sicurezza?

Non ha letto gli stendardi sul sentiero?

Forse è cieco.

Forse non sa decifrare le mie scritture.

Non sa del mio scudo e dei miei artigli.


Ha osato il Barbaro

sfidare il morso dei miei denti.

Insensato!

Allora perché vacillo?

Perché appoggio l’orecchio sul bronzo levigato della porta

e ascolto le parole di miele?

Cos’è questo presagio inaspettato

che mi avvolge e mi tenta ?

Il Barbaro vuole entrare nel Tempio.


Non ha visto

avvicinandosi

le ossa biancheggiare alla luna

tra gli anfratti del Monte?

Non ha compreso

che la mia maschera

che seduce e stermina

è visibile solo fuori le Mura?

Il Barbaro ha letto le mie cifre

e i numeri della mia nascita.


Per questo nulla lo ha fermato.

E ora chiede senza tregua

la Verità.









Amor pagano



Scorrono lente le ore

quando teneri e trepidanti

salgono i pensieri di nuovi amori.

Scrutano inquieti

gli occhi ambrati

i gesti dell’altro

smemorandosi

dei giorni dell’affanno.


Si accende

l’inutile gelosia.

di chi conta nell’ombra

le ore che mancano alla notte

e ai movimenti volubili del tuo desiderio.


Memore della dolcezza

che ha illuminato il giorno.


Non trema

né teme confronto

il Barbaro.

Ha guardato i mutevoli confini

dei tuoi sogni segreti

e ascoltato l’assordante silenzio

delle tue tregue.

Ti attende tranquillo

nelle ore che sono solo tue.







I giorni che conto


Ci sono i giorni dell’Esilio.
Insensati
che non ci appartengono.
Scansioni ritmate
pendoli di quarzo.
Giorni che ci vivono
accanto
perduti dalla nostra distrazione.
Non hanno sapore.
Se l’avessero sarebbero nostri.

Ci sono i giorni dell’Assenza.
Senza i tuoi occhi.
Non hanno forma
né suoni
né incanto.
Sono i giorni che conto.
A partire da…
Nulla prima di quel giorno
della tua Epifania.
Ci sono i giorni della Resa.
Mia e tua
senza condizioni.
Anime finalmente confuse
a danzare duende.
Percussioni cadenzate
oscillazioni implacabili
accendono l’oro dei tuoi occhi
Sono i giorni della luce curva
che cancella la tirannia del Tempo
mentre soffochi l’urlo
nel tuo morso d’alabastro.







Morrigan


Fece due passi avanti
Morrigan
a coprire il suo Re
Sola e severa
tra fanti e alfieri
e cavalli insanguinati.

Alle sue spalle
gli altari abbandonati.
Oltre le porte
disserrate del Tempio
gli spenti bracieri
e i pennoni di Macha.

Dritta e nera colonna
ardeva.
Vergine palpitante di desiderio
vegliava la lancia arrossata
del figlio di Lugh
prediletto tra i guerrieri.

Poi il suo mantello
si fece piuma di ali
e volò sulla spalla
dell’amore caduto.









Il sacrificio


Labirinti di parole
secrete dalla mente.
Filamenti d’argento
tessuti
in cristalli gelati
da labbra socchiuse
a nascondere
invano
denti di lupo.

Guerrieri disarmati
contro la paura
che nasce
dove non ci siamo misurati.
Si nutre
del non sapersi estenuati.
Non sopportano
le basiliche di Pan
l’incenso e la mirra
ma altari rossi di vino
e percussioni di tamburi.

Tu
precipitato lucifero
ti porti dentro
il ricordo mai estinto
dell’antica innocenza.
Attimi di smarrimento
fermano i tuoi artigli
a un passo dal cuore
e sempre ti soccorre
la mano complice
del nuovo amante.

Tregua senza sollievo
che dura
il tempo del cristallo di neve.
Goccia evaporata
sulla pelle inarcata.
Non condividono
i servi
il potere della Regina
né i delitti.
Non chiede il lupo
ragione della sua fame
o permessi
al profumo dell’estro
né la luna
disegna i suoi cicli
conservando memoria
degli ululati.

Vibra i tuoi colpi
e guardami.
Solleva il seno
alla mia lama
senza paura.
Vedrai finalmente
il colore del sangue
che nessuno ha mai sparso.
E tornerai alla nascita.









Appena sotto



Appena sotto

la splendida pelle

inerme alle carezze

c’era la lupa.

Gli occhi grigi

della madre selvaggia

e gli impietosi denti affilati.

Quando la baciò

bevve da tutte le gole

che aveva lacerato.

Quando la prese

sentì il calore

dei mille accoppiamenti

consumati ai pleniluni.

Scoprì

senza rimedio

il potere della vita

e la sapienza

che custodiva il seme.







Ora


Ora.
Né prima né dopo.
Mai uguale a nessun’altra
delle mille te
svanite all’alba
dopo furori che ti lasciano intatta
e implacata.

Ora.
Troppo lontana
per sacrificarmi
troppo vicina
per ingannare
gli occhi che si posano
sulla tua solitudine.

Ora.
Mi chiudo
tra i tuoi labirinti
senza chiederti il filo
e vivo
invincibile
i tuoi attimi
senza di me.

Ora.
Ogni verso ti contiene
sedotto dai gesti
che rimarranno ignoti
sepolti
dal rosario di passioni
cadenzate ed esangui

che ti hanno lasciata invisibile.







Omero



Era cieco il primo poeta.
Vedeva con il cuore
amori di uomini
e battaglie di eroi
invidiati dagli dei.

Io vedo e non sono poeta.
Osservo la realtà.
E quand’anche non mi rivolga
alle stelle
mi catturano
mondi infiniti
oltre ogni immaginazione.
Ai sensi
non resta che scegliere.
E rimpiangere.

L’oro dell’ultimo sguardo
possiede
la magia rubata agli altri
Lo spegnerà
il prossimo
con un lampo d’acciaio fuso
lasciandomi implacato
a interrogarmi.

Se non poeta come il primo
come lui
vorrei essere cieco.
Il cuore allora
mi condurrebbe sicuro

fino agli occhi che mi attendono.

Notte di plenilunio


Era una notte di plenilunio
quando accadde di smarrirmi
tra ulivi argentati e richiami di civette.
Mi svegliarono
gli echi misteriosi di una Sibilla fenicia.

Quei suoni
mi colpirono i sensi
e la ragione non si curò
degli oscuri vaticinî.
Né mi fermarono
severi divieti
e sperimentati anatemi.

La musica dei tuoi pensieri d’amore
dileguò la paura.
Guidò i miei passi
ad attendere il sorgere
della nuova Luna
per sigillare
sepolcri profanati.

Da quella notte
ogni notte
accendo roghi allineati
rischiarando ombre
e segni
sfuggiti al Tempo.
Da quella notte
ogni notte
mi dissolvo
in turbini di scintille
che il tuo amore divino
trasmuta in lucciole.

Tremori

Ora
che in un solo sguardo
racchiudo
l’ansia del tuo corpo
e le volute dei tuoi trasalimenti
i miei giorni sono luce diffratta
e le notti accese spirali.
Lungo i tuoi recinti
conficcati sui frassini
biancheggiano
i miseri resti di idioti enigmisti
ignari di alfabeti alieni.
S’appressano umanoidi
psico apatici irretiti
che la tua annoiata vanità
cattura
sadicamente impietosa.
Fino a quando fingerai
di non scorgere
i martiri occhi
che conoscono
i tuoi gesti a venire?
Fino a quando la tua mente sceglierà
l’encomio eccitato e il pianto imbelle
per non leggere
le ragioni della tua essenza?

Sto nei pressi

Sto nei pressi
ad aspirare il tuo profumo
ad ammirare le tue pieghe
i tuoi movimenti,
le tue concessioni.
Stanotte, come ogni notte.
Accontentandomi
del carminio delle tue labbra
piegate nel sorriso.
Quel sorriso malizioso
e pure timido
intento a provocarmi
quando accendi la tua luce.

Sto nei pressi
chiedendomi
cosa ti suggerirebbe la fantasia
quali sublimi e dolorose provocazioni
se tu fossi per un attimo
solo per un attimo
consapevole della mia presenza
accanto a te.
Le tue belle natiche riacee
accostate a proteggere
l’anello e il velo
le cosce morbide di seta
che non trattengono
l’umore secreto dai tuoi sogni
in stille profumate.
Ma non dormi?
Ti giri verso di me
e le tue dita
morbide e sapienti
di fantasie distillate e segrete
danzano
sfiorandomi
forse sognando la mia presenza
Tendono la seta
i tuoi seni
alla carezza dei miei sguardi
e al rinfrescare della notte.
Promettono
ma io sono pura energia
recatasi presso di te.
Non mi è concesso confondermi.

Sto nei pressi
e i tuoi polsi si incrociano
sopra la tua testa
ricordandomi
il giorno del tuo avvento
felice già della tua esistenza.
Si piega all’improvviso
una gamba divaricandosi
per mostrare la gloria
di una perla rossa che emerge dall’apice.

Sto nei pressi
fino all’alba.
Per respirare i tuoi percorsi
attraverso la scia profumata
che lascia il tuo corpo
mentre riacquista coscienza
lentamente alla luce del giorno.

Il segno

Il segno
mi giunse puro e diretto
e annichilì di luce ogni variante.
Sedotto dall’assoluto inaspettato
ho imparato a leggere
la grammatica nuova
e il disegno delle mappe segrete
riconoscendole mie.

Si dissolvono le architetture
dentro spirali incandescenti
dove la carne bracca lo spirito
a sua volta inseguitore.
Infaticabile e stralunato
mi sottometto
a un desiderio implacato e mutevole
che chiama all’agape
commensali senza perizia
e ignari.

Riflessi l’uno nell’altra
prepariamo le quinte
e dipingiamo le scene
delle danze eseguite nei sogni
identici
che abitavamo senza conoscerci.
Suoni modulati e percussioni improvvise
catturano polsi e caviglie in attesa.

Le astratte geometrie dello spazio
e la ragione vigile e insonne
mutano al calar della notte.
Si aprono i recinti
severamente custoditi
e la terra e il cielo risuonano
di colpi cadenzati
in corpi confusi da musiche dervisce.
I movimenti pigri e gli sguardi indolenti
celati dalle maschere
cedono il passo
alle policrome follie incatenate dal giorno.
Finalmente libere.

Io mi innamoro

Io mi innamoro
Se la strada è affollata
l’aria trasparente
e spira una brezza di terra
m’innamoro
Cento volte

La luna velata di vapori rossi
aggiunge passione
ai profumi
che mi muovono il sangue.
quando gli occhi hanno compiuto
la congiunzione

Io mi innamoro
del trionfo di piaceri
che hanno il coraggio di manifestarsi
senza vestirsi dei merletti ingialliti
nei cassettoni
di polverose soffitte
con vista sul mare

Io m’innamoro
E parlo in versi
che si posano
come carezze
sulle dune e gli anfratti
di bruciati
incalpestati deserti

Io m’innamoro
Gabbiano con le ali gonfie
degli oceani che ho attraversato
so distinguere il grido
di chi apparecchia il nido
sullo scoglio più alto
per custodirvi la vita

Non mi trattiene allora
il maestrale violento
che travolge le vele
né l’abbraccio mortale degli elementi
dissolutore di orizzonti
Mi faccio acqua e mi faccio vento

per incontrare l’unico destino













sabato 21 giugno 2008

Burlesque

Tempi moderni



Le fiche migliori

sono a forma di busta

regolamentare.

Hanno i lembi che si sovrappongono

e se vuoi li puoi anche incollare.

Gli ufficiali postali

che amano il lavoro

timbrano molte buste

e molte fiche.








Amori coniugali



Ogni notte

apriva le cosce

con la puntualità

di un passaggio a livello.

La attraversavano

solo treni veloci.

Non lasciavano traccia

né sventolio di fazzoletti.







Mode


Ti sei depilata

per sembrare innocente.

Se devo chiavarti

preferisco il tuo culo.

E’ più stretto e meno indecente.

E non somiglia

a tua figlia.








Nuovi consumi


Ti sei scoperta

fino all’ombelico

e vai per strada

come in un bordello.

Ma non sai trattare il cazzo

con la professionalità

che merita l’impresa.

Sei priva dei fondamentali.

Potresti affittarti un allenatore.

A ore.

Ma dovrà essere il migliore

e anche poeta

per regalarti l’immaginazione.

Pare che non se ne trovi alcuno.

Lavorano strapagati per la Pubblicità.

Che ti vende l’intimo.






La vicinanza



Mi piace la fica bagnata.

Pelosa

bene ossigenata

dai bordi lunghi

e il pube grasso che tracima

tra le cosce rotonde.

Non sopporto pensieri

Perche il cazzo non li vuole

per restare duro come ieri

e continuare anche domani.

Ti voglio esperta.

e sudata.

Senza diete e creme antirughe.

Mi piace girare con la barba lunga

intrisa dei tuoi umori

e strofinarla

sulle labbra della tua amica

perché si ecciti

sentendone il profumo.

Ti voglio la notte

la mattina no.

Ti voglio vicina

ma non di casa

Tu sei più forte

e puoi vivere sola.

Possiamo giocare

i giochi che vuoi

lasciando agli altri di cercarsi un dottore

esperto di parole.






Equivoci



Ti parlo

e ti seducono i suoni

dei miei pensieri d’amore.

Ascolti

reclinando silenziosa la testa

sul mio ventre.

E continuo

a parlare


senza prendere fiato

per non chiederti infine

“E tu?”

Nei tuoi occhi silenziosi

la risposta non è quella

della tua morbida bocca.






Terzo millennio



Corpi perfetti

ambrati da soli artificiali

e scolpiti da molecole aromatiche

si cingono di processori.

Ornati di paura e menzogna

traghettano nell’alba del nuovo evo

le inutili domande

del pensiero unico


del Grande Fratello.

Dorme la ragione sazia di prozac

partorendo moltitudini di incubi

nutriti di cibo veloce.

Consumatori profilati

chimicopatici e psicoapatici

invocano l’amore assoluto


nei cristalli di rocca.






Bulimia
.


Fissi l’orizzonte

con occhi bovini


senza luce.

Fin dove arriva il tuo sguardo?

Quante persone

quanti animali

vegetali

minerali

ci sono dentro il tuo cerchio?

Da quanto tempo?

Dove e come hai lasciato il tuo segno?

Che ne hai fatto dei tuoi talenti?

Vomiti

blob di melassa

emotiva

riflettendoti narciso

in altre identiche bocche

debordanti

la stessa disgustosa melma.

Il tuo incontenibile metabolismo

produce impulsivo


rifiuti irriciclabili.

E li chiami

emozioni.






I segni



Appari istantanea

e di perfezione rara.

La postura e il sole

fusi tra loro

a disegnare quattro lettere.

L’H della morbida figura

racchiude una tenera X di braccia incrociate

tra una W di luce

appena mitigata

dall’ombra di un’ansa misteriosa

e una sfacciata Ώ

prorompente tensione.

Tenterebbe la mente

decifrarne il senso

se lo sguardo non fosse

catturato e perduto

dagli invasi.

Irrimediabilmente.







La ballata di Carla



Carla è piccolina
Carla è una bambina.
Carla ama le stelle e il vino
Carla odora di pelle
Carla possiede un cuore ribelle

Carla è birichina
Carla fa la faccina.
Carla è figlia e amica
Carla lavora per amore.
Carla disperde i talenti per ascoltare il cuore.

Carla seni morbidi e mente spigolosa.
Carla generosa, Carla spiritosa
Carla ama il mare
Carla si fa guardare.
Carla si fa cantare


Carla calda, Carla abbronzata
Carla all’alba sa di cioccolata.
Carla vuole il piacere
Carla vuole godere
Carla ha paura di ricadere.

Carla che cura i capelli
Carla e i dettagli sempre più belli.
Carla che il corpo ama curare
Carla che il corpo vuole appagare
Carla che gioca a farsi accompagnare.

Carla che sogna di sentirsi bagnata
Carla che attende la perfetta scopata.
Carla che dopo vuole essere adorata.
Carla che incontra il principe Azzurro
Carla che lo sbeffeggia con un sussurro

Carla ha voglia d’amore
Carla non smette di ricordare il dolore
Carla è sola e non riesce a volare
Carla é da bere, Carla é da mangiare
Carla si sente sempre tradita
Carla stranita, Carla inviperita

Carla all’improvviso smarrita
Carla che legge parole d’amore
Carla ora riprende a cantare.
Carla sente salire il grido
Carla dischiude felice il suo nido.
Carla si lascia accarezzare il dorso
Carla all’amante regala il suo morso.






Sulla strada



Ho amato una zingara

che stendeva la mano

agli incroci.

Leggeva i pianeti e pronunciava enigmi.

Si adagiò

e conobbi la monotonia del piacere

di movimenti meccanici

deserti d’anima.

Mi mostrò

sotto la gola

bilancieri dentati

perpetuamente oscillanti

senza ragione.

Quando le dita si chiusero sull’obolo

lo sguardo inseguì altri orizzonti

e la mano si aprì

nuovamente vuota

ai viandanti.







Perlasco



Il vento gelido attraversa

la chioma delle querce

e accumula detriti

sulla porta delle case.

Scomparse

le mani capaci dello stradino

veli di plastica

segnano i bordi delle strade.

Rappezzate

senza cunette.

Corpi tatuati


trafitti di metallo

inneggiano ai gladiatori catodici.

Sognano di apparire.

Ottusi


affilano lame

nelle notti chimiche

senza passioni.



























martedì 10 giugno 2008

Graffiti 1960-2000

Marzo 1960



Era il tempo della ginestra

e rincorrevo i tuoi pensieri

ubriacandomi

della tua tenerezza.

I tuoi occhi ridenti

incontravano i miei

disperdendo antichi fantasmi.




Per sempre



Sciogli sicura il tuo desiderio
sarà per sempre

Insegui libera i tuoi sogni
sarà per sempre

Apri il tuo cuore
sarà per sempre

Insieme canteremo

la nostra epifania








Mare nostrum


Sale dal vicolo
la musica dolce
di una pianola a cilindri
Il vecchio la muove
sognando
e ignora dove gli aghi
attingano le note
La mia pelle no
Ad ogni giro
rammenta la partitura
segnata sul tuo corpo
L’eco rimbalza
tra le bianche case
degradanti al mare
e insegue la tua corsa
libera e ridente
Quando alla riva
s’arrestano i tuoi passi
tace l’ultimo accordo

fra gli assorti gabbiani





Ogni notte



Ogni notte
veglio sui tuoi sogni
amore mio riconosciuto
per risarcirmi del tempo
che non ho trascorso
vivendoti
Conto i respiri senza affanno
e leggo le palpebre mosse
dai desideri nascosti
nei tuoi giorni lenti
liberi
al salir della luna
Non ho chiesto permessi
né preteso certezze
Mi affido
al piacere degli occhi
Instancabili







Moby Dick



Il colore dei nostri silenzi
dipinge i giorni che scorrono lenti
come il respiro delle maree

Gli occhi feriti nelle discese
hanno guardato nel lungo cammino
tutte le maschere del carnevale

Sospeso dentro incerti pensieri
disegno immagini che ti somigliano
per imparare a scoprirti nel buio

Balena bianca dello spirito mio
non posso accettare abissi profondi
che non siano abitati solo da noi











Aprile




Tu c’eri.

Li hai visti quegli occhi

e i ridicoli passi.

Venti anni

il capo chinato.

Non giudicarmi:

pago le tue paure.





Dallas



Ascoltate.

Stanno compiendo un delitto.

Stanno uccidendo l’amore nel mondo.

Guardate

quei corpi grassi

sudati

quei volti bianchi

accigliati.

Sono loro.

Gli assassini di sempre

usciti dalle fosse dei morti senza nome.

Sono tornati vi dico.

I neri signori

e con essi

la guerra





Viet Nam



Darà un grande raccolto

quella povera terra

intrisa del sangue

dei morti contadini.

Si nutrirà

dei giovani corpi disfatti

di stellate truppe d’assalto

quando gli aratri

pietosi

spaccheranno le ossa

seppellendole.





Incontri



Percorrono nuovi sentieri

i moderni pellegrini assetati d’assoluto.

Non graffiano i piedi stanchi

ciotoli di mitili e sabbie roventi.

Pixel e byte danzano leggeri

da un meridiano all’altro

per condurli in basiliche di cristalli liquidi

al cospetto di se stessi.





Progresso



Quattro pioppi.

Un mulino.

Una ruota stanca.

Marcita

nell’acqua verde azzurra

di foglie morte

senza vento.

Mura pazienti

corrose dal tempo.

Immobili

nell’ inutile attesa del canto della macina

amico ai contadini.

Memori

di occhi bianchi gioiosi

inseguenti

gli ultimi grani.

Splendono a monte

lastre lucenti

rispecchiando lecci argentatati.

Le mani callose

dei figli senza memoria

timbrano cartellini.





Filastrocca di Didilla



Chiudi gli occhi Principessa bella

chè io sono la tua sentinella

Chiudi gli occhi e non temere

ché del tuo carro io sono il cocchiere.

Sogni d’oro, sogni di miele

profumata è la luce delle candele

Splenda il sole o tiri il vento

corrono i baci sotto il tuo mento

Cada la pioggia o scenda la neve

la mano mia ti accarezza lieve.

Chiudi gli occhi Principessa bella

ché Amore ti porta celeste novella

Chiudi gli occhi e prendi il volo

chè il tuo cuore non è più solo.







La nascita



Senza di te

una vita qualunque

Con te

miracoli dolcissimi d’amore

mi rendono visibile al Tempo.

Invidioso

dei miei possedimenti.






Ottobre



I primi freddi d’autunno
mi recano
la sinfonia degli aceri arrugginiti
e i gabbiani
a gridare
tra le raffiche del maestrale
che s’alza.

Irride il mio cane
e le sue inutili rincorse
la volpe rossa
uscita dal canneto
stralunando
due impettite civette.

Stupita
l’anima mia
attende la sua stagione
e l’incanto di una favola nuova.







Amanti



Vieni.

Parliamo di noi.

Delle cose che abbiamo.

Dei giochi inventati

tra mille carezze.

Vieni

a donarmi la gioia

dei tuoi occhi smarriti.

Prima che torni

la luce dell’alba.






La tempesta



Vennero da lontano

nubi nere

inavvertitamente.

Mescolandosi al rosso del tramonto.

E fu silenzio intorno

e attesa.

Poi

terra e cielo si confusero nel Caos.






I giorni del lupo



Rose rosse attraversano Roma

strette al seno

coprono l’assenza.

Il petalo più alto

sfiora

l’orecchio ferito

e il collo disarmato e pieno.

Il Tempo

trafitto dal suo avvento

cerca invano la rivincita

nel giorno genetliaco.

Occhi verdi ambra

accendono fuochi

per i miei passi di lupo

lungo sentieri separati

sotto un cielo senza sogni.







Quarto di luna



Ora ci giunge

il respiro degli ulivi

argentati

dalla luna saracena.

Le nostre anime

antiche e stanche

si riuniscono sciogliendosi

nelle labbra accostate

ad alitarsi baci.






Plenilunio



Ti darò la vita,

i miei segreti,

il mio sangue.

Cosi cantavi

e s’accendeva

il verde dei tuoi occhi

fosforescenti

crateri della mia luna.

Io sono

tutto ciò che non hai incontrato prima

Io sono la poesia.






Suoni



Si inseguono beffardi

richiami di corvi.

Tra i pioppi

tenere allo sguardo

le gru velate di nebbia.

Suoni d’autunno

ignoti

tagliano i miei pensieri

cangianti nelle foglie dell’acero.

Ora mi avvolgono fili d’argento

e perle d’acqua trasparente

con il sapore dei nostri giorni

sulle anse del fiume

improvvisamente amiche.







Il viandante



Ho attraversato

sentieri diruti

e strade e viali bruciati dal sole

e greti risonanti del canto dei bambini

e brughiere senza fine graffiate dal vento.

Ho dormito

su letti profumati di tiglio

e sulla sabbia rubata agli oceani.

Ho guardato

i Carri e il Cigno

e la piccola stella del Nord;

la Croce del Sud

incontro al Centauro

e il Pittore a oriente del Dorado.

Ho ascoltato

il respiro degli amanti

e le loro parole di miele.

Ho bevuto

l’acqua azzurra dei monti

eternamente innevati

e il latte caldo degli armenti

transumanti al mare.

Ho mangiato

l’uva dolce e dorata

rubata alle api.

Ho sottratto alla quercia

il ramo nodoso

per appoggiarvi i passi

verso l’orizzonte.






Primavera



Civette in amore

si inseguono tra le siepi

argentate di brina

e ascoltano i miei pensieri

solitari e pigri.

Mi fissano i loro occhi divini

torcendo i colli

eretti nel trifoglio.

Riprende la vita nella valle

e intenerisce i sensi

esausti

di una notte senza sogni.






Pantelleria



Attraversi

l’aria rovente d’agosto

dondolando i fianchi sensuali

sulle lunghe gambe

di ambra scolpita.

I tuoi occhi di Saffo

irridono

gli avidi sguardi.

Avanzi leggera

nei vicoli arsi

risonanti ai tuoi passi.

Impietosa e sorda

ai sospiri dei giovani petti.

Ricurvi

su vuote reti impigliate.







Avvento



Incontrarti e riconoscerti.

Dopo mille e tra mille

finalmente visibile.

Unica

ad esaurire gli infiniti desideri

nati dal rosario

degli attimi fuggenti.






Ulisse



Inseguo

nei colori di mille occhi

l’amore che so perduto.

Frammenti teneri e solitari

illudono gli attimi

di notti insonni

all’alba inappagate.






Lo specchio



Sono felice per te

in questa faticosa alba novembrina.

Lo specchio ti ha restituito le rughe

e un sorriso incerto

dal sapore di anice.

Passano gli anni

e il tuo corpo morbido e ambrato

nasconde solo agli altri

l’eterna innocenza di un sogno d’amore.







A.C.




Ho incontrato la mia donna

sulla strada di Gerusalemme.

E’ bella come una principessa

degli altipiani etiopi.

Ha negli occhi l’oro e lo smeraldo.

E’ filigrana di rame la sua pelle.

Ho sfiorato la sua mano

e intrecciato le dita,

teneri bambù delle acque del Nilo.

Ho posato gli occhi

sul suo cuore innocente.

Ho abitato i suoi sogni

di timida gazzella.

Ho ascoltato il grido dei predatori

tra i rossi vapori del tramonto

e il volo bianco degli aironi.

Ho condiviso la paura degli innocenti

e la gioia della fioritura.

Ho fermato il tempo sciogliendole i capelli.

Ho bevuto il suo miele.

Ho custodito i suoi sorrisi.

Ho incontrato la mia donna

sulla strada di Gerusalemme.







Paure




Temo

l’intervallo della tua assenza.

Risorge di nuovo il Tempo.

Nudo e innocente tiranno

seziona le nostre vite

appena riunite

per rubarcele ancora.

Non lo fermano parole e pensieri d’amore

o pietà per il nostro lungo viaggio.

Solo lo dissolvono

dita intrecciate

e anelli di braccia.






Apparenze



Velata di lino

dondoli

le tue natiche rotonde

sulle gambe nude.

Come un marinaio negli angiporti.

Guizzano ad ogni passo

i tuoi polpacci dorati.

L’aria calda di agosto

ora ti avvolge

e ti accarezza.

Ora si sposta

riverente

al tuo procedere spavaldo.

Lungo il corpo

le tue mani

e lunghe unghia affilate

promettono ferite

agli amanti coraggiosi.

Di notte

quando nel buio

intrecciamo le dita

tremi teneramente

invocando carezze.






Per me solo



Mi gela il sangue

e mi ferisce l’anima

la confidenza dolce

che concedi agli altri

lungo percorsi che mi tagliano fuori.

Tra i mille e mille teneri volti tuoi

intermittenti

uno mi appare

estraneo.

Messaggero delle strade e del tempo

che sola

fin qui hai attraversato.






Ritorni



Mi assicurano l’eternità

gli occhi nuovi che tornano

a perdersi dentro il mio sguardo.

Dolenti bisogni d’amore

li accolgo senza domande

e risplendono come stelle

a ogni rinnovata pulsione.

Vite sospese

nella nostalgia di fuochi mai accesi

apprendono come fanciullii

l’ansia del cammino

e cercano la mia mano

per un tratto di strada.






Le Parche



Vieni

intagliamo un arcolaio

con il legno degli ulivi

che nascosero i nostri corpi

amanti.

Vieni

cerchiamo un fuso

sotto la luna saracena

per filare la nostra vita.

Vieni

intrecciamo un gomitolo

con il verde dei tuoi occhi

l’ambra dei tuoi corti respiri

l’azzurro dei tuoi sogni adolescenti.

Vieni.

Legati ai miei polsi

con un filo indistruttibile.

Proviamo ad ingannare Atropo.






Niederau



Tornerò

nelle valli di Niederau

dove cadono dal cielo

fiori di Ibisco.

Tornerò

a cercare i tuoi sorrisi lievi

tra i balconi di verbena

e il volo delle api

Tornerò

a scoprire il segno del tuo corpo

sull’erba verdazzurra dei prati.

Tornerò

dove il Tempo si è fermato

annichilito

da occhi fosforescenti

che sigillarono il mio cuore.

Senza più domande.

Senza più parole.






Croazia




Sospeso e infine smarrito

mi imprigionarono

occhi croati di smeraldo

dentro cristalli di rocca.

Appena ieri

muovendo lieve l’aria e la luce

attraversata dagli idoli

della mente ferita

sei tornata.

Anche tu

amore mio

hai viaggiato lungo strade

di pietra viva.

Ferita.

Versando il sangue su inutili altari

placandoti nel piacere di un attimo.

Un pendolo arcano

riunisce i passi

legando le comete della nostra vita.

Il verde dei tuoi occhi splende

come allora

sulla pietra nera del porto

che lasciai dolente.

Il Tempo può ora fermarsi.

Impotente

sul nostro respiro.

ormai uno.






Vicini



Ascolto

senza prendere nota

i tuoi pensieri della notte.

Corrono come formiche

disorientate dal vento.

Ti dono il mio silenzio.

I miei sguardi teneri

percorrono il tuo corpo.

Immemore della vicinanza.






Possiamo farlo



Non c’era ragione

che tu movessi la fronte

a cercarmi gli occhi

per riconoscerli.

Sapevi già.

Tutto ti era noto

e ai miei occhi hai offerto

il sentiero e la gola.

Arresa.

Solo dopo hai svegliato i guardiani

e calato il velo dei tuoi pensieri

gelidi

negando i giorni nuovi.

Due di fronte

per diventare uno

ma non era questo

ciò che volevi.


Possiamo farlo.

Ti sussurrai disarmato

e s’incrinò la tua rocca.

Ora percorro i tracciati

della tua apparenza

che confonde marinai

senza bussola e stelle.


La tua mano si stringe

attorno a una conchiglia

mai ricevuta.











domenica 8 giugno 2008

Il tempo presente

Anch'io come tutti

Anch’io come tutti
aspetto un treno
festoso e veloce
e soste in paesi
senza calendari.

Anch’io come tutti
incrocio viandanti
che s’accendono
prima di sparire.
Inghiottiti
dalle ore sempre uguali
della quadriglia di stagioni
che tracciano spirali
verso il nulla.

Anch’io come tutti
rallento a un trivio
a una fermata d’autobus
davanti a una porta.
Cercando occhi
che compiano il miracolo
della cesura
nello spazio curvo
di un viaggio di solandata.

Cerco la malinconia visionaria
di quelli come me berberi
amazigh dei deserti
che non hanno idoli.
Non vestono la vita
di abiti firmati
non innalzano depositi
di cose morte
illuminate dal prezzo.
Né s’affidano a un numero
che gli tenga il conto
degli agnelli uccisi
del sale trafugato
del lavoro rubato
per dichiararsi diversi.

Quando mi accade di trovarla
vivo l’identica follia
e la fisso negli occhi
dei cavalli celesti
akhal-teké perennemente in corsa.
Mangio con le mani
frumento impastato di latte
srotolo il tappeto sulle sabbie rosse
lontano dalle rotte dei finti nomadi.

Orione mi guarda
mentre mi fondo nell’ambra
di occhi accesi tra veli azzurri.

A Eluana, a Welby



Nasciamo per caso.
Per caso viviamo.
Lotta perenne
tra pericoli alieni
e umani assassini.

Solo alla donna e all’uomo
bellissimi
che si fusero
dobbiamo la vita.
Forza incancellabile
che anima il nulla
e lo guida a comporsi.

La vita e la morte
nelle nostre mani.
Così era all’inizio.
Le follie della mente
e il possesso
vennero a evocare idoli
assetati di sangue.

Si sono presi l’innocenza
e il potere della morte.
Con la corda, il lampo, la lama
e il veleno.

La dolce morte
non possono togliercela.
Ma non desistono
le jene cannibali
profumate d’incenso.
Alimentano
la falsa coscienza
per negarci la scelta.






Donne nissene


Nella valle sicana
alla luce degli alti fuochi
accesi
ad avvistare gli Achei
si fusero
il popolo amazigh e quello elimo.
Nacquero
in quelle notti vermiglie
donne fatte d’amore.

Occhi cangianti
dal nero al verde
crateri del mistero
e solchi profumati e trepidi
a prolungare la vita.

Piedi pulsanti di danza
lombi implacabili
in percussioni ritmiche
respiro del tempo
che non ha confini.

Viaggiatore di meridiani
non hai misura del tuo valore
né della follia
se donne nissene
non ti hanno aperto la tenda.
Tra l’oro del grano
e il nero del vino.









Umano Non umano


E’ la coerenza il valore che manca

alla tua stremata filosofia politica.

Non puoi chiedermi di rinnovarti deleghe.

Tradito mi astengo.

Afono

tra la gioia antropofaga dei barbari

giunti dopo tanta attesa.


Affilo nell’ombra la lama di ossidiana.

Per affondarla nel petto

di chi non è più umano

e dilaga saprofita

a sud dell’Insubria.

Libero dalla paura

mi è compagna la Ragione

che protegge i superstiti

memori della Legge.









La povertà


Abbiamo smesso di apprendere.

Ora siamo poeti

che consumano farmaci

in rima baciata.

Con adrenalina.

Guardiamo

accumulando senza intenzione

in rima baciata.

Con emozione.

Compriamo bellezza

per venderci.

Senza la rabbia di Spartaco.








Casualmente


Quando si nasce
cessa la simbiosi.
E’ un colpo di frusta
l’aria che aspiriamo
per vivere.
La prima volta soli.

Resta per sempre la nostalgia
di quell’amore confuso e liquido
assoluto custode della diversità.
Niente di simile ci sarà mai dato
nella fatica di ogni respiro:
solo lampi di smemoramento
quando i corpi mimano
la creazione.

Lungo le infinite vie
ogni istante mutevoli
può accadere di scoprirsi
riflessi
nello sguardo dell’altro.
Casualmente.
Ricorderemo il primo respiro
e arretreremo
scoprendoci nudi.
Poi le dita si muoveranno da sole
sciogliendo i nodi
che frenano il volo.






Il grido

La carezza affondò nella carne viva
e le labbra si aprirono
sui bianchi denti affilati.
liberando il grido.
Bianca di un plenilunio invernale
la gola si tese
e raccolse i brividi
racchiusi nell’anima.
Valli aperte e vicoli contorti,
campanili e leoni di bronzo,
piazze di porfido e tetti di ardesia,
ville patrizie e capanni di lago,
cespugli d’erica e puntuti abeti
ascoltarono e rimbalzarono gli echi.
Fino alle Grigne
smemorate di mare
e ai rostri pietrosi dei Tre Signori
il grido della lupa raggelò i cuori.
Poi fu il silenzio.
Le membra intrecciate
si sciolsero nei colori della notte.
Gli occhi
bruciavano implacabili.





Caribe

Siamo seduti
sulle sedie lunghe
a guardar l’occidente
rosso di vapori
In attesa.
Con la risacca
allo sparir del sole
tornano i pensieri delusi
scagliati oltre l’orizzonte.
Il patio screpolato dal sale
si piega
sotto i tuoi passi nudi.
Gli ultimi raggi obliqui
ti scaldano le caviglie dorate
muovendole alla danza
tra il ciottolar dei paguri.





Apparenze


Aveva cuore e ali di drago

eppure mai aveva amato

e mai volato.

Valicò limiti

a lei ignoti

senza che i piedi

movessero a danza.

Immobile.

Guardò la spada

affondare nel ghiaccio.

Vibrò solo l'elsa

al vento gelido di tramontana.






Aneliti



Aneli

occhi testimoni

della tua natura intatta

e trasalisci

a ogni sguardo.

Ti portano

le ore lunghe della notte

la speranza improvvisa

dell’avvento

e corri incontro a folate

che si placano all’alba.




Essenza

Corrono
leggeri i tuoi polpastrelli,
ali di farfalle dorate,
a fermare gli attimi
della tua purezza.

Il tempo trasmuta i volti
che pensavi amanti
e interrompe le notti
privandole d’oblio
in attesa dell’alba.

L’ultimo brivido
ti consegna intatto
il mistero della tua natura
determinata a vivere.






Avventi



Avventi

di epifanie inattese

oscurano soli

remoti e stanchi.

Ormeggiano nel porto

i battelli

leggeri dai lunghi scafi.

Tentano le vele

umide e salate

orzate improvvise

senza attenzione.

Ora in attesa che il maestrale

lanci la prua

cantano i corpi.

Obliqui.





Dove mi stai portando?


Dove mi stai portando?
Piano, piano
con parole leggere
e alate lusinghe?
Non lo so.
Non voglio saperlo.
Mi fermerò.
Quando non mi sentirò più al sicuro.

Di fronte a te
specchio ricomposto
rifletto le mille tue fisionomie.
Sono i tuoi passi
che tracciano il cammino.
Implacata
ti dirigi dove i sogni
si smemorano.
Insicuro è il desiderio
che muta e si riaccende
sotto la pelle arsa.
Ignota e volubile misura
che non hai mai sfidato.
Dentro di te é il mistero.
Gli occhi che vi si posano
accettano le tue sentenze.
Irrevocabili.



Le due amiche



Cristallo trasparente e fragile

l’una

cattura il cielo e i suoi mutevoli colori.

Polpa di pomodoro rosso

l’altra

calda di sole e di terra bruciata.

Intrecciano riso e parole

e sguardi corrucciati e impavidi.

Tendono archi d’amazzoni

scagliando frecce

oltre l’orizzonte.





La conchiglia


Baby Jane

ricordi?

Scopristi il mare.

Ti venne incontro

la prima volta

e correvi

parallela alla riva.

I pieni nudi

lievi e veloci

a sfidare le onde

che cancellavano i passi

della tua danza adolescente.

Senza arrestare la corsa

ti piegasti

e la tua piccola mano

racchiuse una conchiglia.

Il vento

con le sue dita salate

ti accarezzava i capelli.





S/legati



Non leggo mai

la delusione nei tuoi occhi

di miele.

Mai ho fatto promesse.

né tu le hai cercate.

Eppure non cesso

di ascoltare

i tuoi canti improvvisi

e i silenzi.

Amo i secondi

più delle armonie.

Mi annunciano

che posso perderti.

e sogni

che mi farai conoscere.






Gli sguardi


Ora le parole

non hanno più senso.

Monete fuori corso

prive di grammatica

e di sintassi.

Un deserto di sinonimi.

Casuali.

Restano gli sguardi..

Solo quelli dell’alba

quando la luce ferisce gli occhi

che la notte ha smarrito.






L'errore


Equilibrista

sospesa sul filo.

Senza rete.

Illusionista

altro non sei

Consapevole.

Attiri l’attenzione

sulla mano che non fa trucchi

per lasciare invisibile

quello che hai concesso

ad occhi pavidi.

Scoprendo

che non vedevano.






Spaesamento


Ho volato stanotte
su superfici lunari
increspate di chiaroscuri.

Brividi di luce
addensata
hanno catturato il mio sguardo

Paesaggi alternati
concavi e convessi
intatti di rugiade siderali.

Solcati dai respiri roventi
di lave invisibili
emerse da socchiusi crateri.

Ondeggiavano gli orizzonti
di vapori cremisi
anelanti il cielo.




I tuoi occhi


I tuoi occhi.
Quante cose vedono.
Quante ne ravvivano
e quante raggelano.

I tuoi occhi.
Così confusi con la tua essenza.
Le mie parole nascono
là dove ti guardo
senza scampo e senza merito
e mi abbandonano.

Parole di creta.
Alitate a vivere
da te
Impastate nella tua sostanza
Non mi appartengono più.
Tue.

Sempre mi restano care.
Fiaccole luminose
nate per accendere
lo spazio che ci separa.

All'improvviso

Venne improvviso
come un brivido dell’anima
e ti tolse il futuro.
Tu sola capisti quel gesto
che ai molti incuteva terrore.
Ti restituiva il presente
la carezza della mano
sul collo reclinato.

Come i veli delle tue notti
cadevano
senza rumore
le attese inquiete
delle albe infinite.
Un solo grido
senza principio e senza fine
ruppe l’anello e il velo.

Ventiquattresima ora

Caddero le vesti
ai piedi
come la nebbia che fugge il sole.
Lo splendore bianco della pelle
riverberò
ferendomi gli occhi.
Tra il rosso e il nero
fui perduto una notte intera.

La Verità

La verità
celata agli sguardi perduti
della vanità
non si nascose a lungo
e braccata si arrese.

Semplice nella sua nudità
si aggirava
tra labirinti di specchi
orbite vuote di pupille
incerte.

Contagiata dalla viltà
si dibatteva
tra i veli neri
delle passioni annunciate.
Indomita.

Tamburi lontani
e cembali d’argento
annunciavano sfide
sotto le mura
per una dea precipitata
e immemore

Stupore


Hai fermato l’attimo,
carezza lieve delle tue dita
gesto divino della creazione
e lo hai reso eterno.
Torno dove sono nato
e mi riconosci.

Identici i tuoi movimenti.
Simile a tanti altri
il rosario del tuo piacere.
Lo esaudisci per terminarlo.
Apre e chiude destini
la tua pelle di seta.
Come sempre.

Dentro i tuoi pensieri nascenti
stanze finora serrate
scopri di avermi invitato.

L’esilio

Ci sono immagini che hanno artigli.
Se ne vanno portandosi l’anima.

Le guardi
e gli artigli si chiudono
strappandoti il senno.

Da quel momento
non hai più patria
non hai più casa
non hai più giaciglio.

La tua patria
la tua casa
il tuo giaciglio
sono là
dove gli artigli spiccarono il volo.

Ti aggiri accecato.
Le membra scosse
e la mente confusa
hanno memoria della Medusa
che si é lasciata guardare.

Fissando i canoni
della tua nuova estetica.

Sintassi

Può un segno
mostrarsi più forte del tatto?
La vista decidere un destino?
E le parole inventate
al buio insonne di notti solitarie
hanno il potere di procurare evasioni?
Il verso abbatte prigioni antiche
vigilate da noi stessi?

Credo che il segno
scelga di affiorare
quando gli occhi entrano dentro.
Senza indugiare sulla superficie.
La mente accoglie
tra le pareti impervie
carezze di suoni dimenticati
ascoltati alla nascita.

Dentro gli sguardi confusi
si formano le frasi
componendo parole
pronunciate in sequenza.
Pensieri complementari
come il volo di mille storni
che disegnano i loro sogni
nei cieli d’autunno.

La lupa


Sta accovacciata in brughiera
una lupa
con gli occhi accesi
divaricata sui talloni


L’avvolge l’erba della Madre Terra
riconoscente
l’antico gesto dell’appartarsi
sola
a sgravare la vita.

Non amò altro che il seme.
Lo ha custodito
e alimentato di sé
e della sua memoria.

S’alza il vento.
Risuona il mirto
a coprire il vagito
e l’amore assoluto
che rinnova il mistero.

Compie l’arco
la luna
coperta dal suo velo
tra ululati impotenti

Equivoco

Ho letto segni
che io solo ho scorto
affiorati improvvisi
a ferirmi lo sguardo.

Mi erano giunti
solo per gli occhi
da uno spazio altro
per indicarmi un mistero.

Incaute le mie dita
li hanno sfiorati
dissolvendo il disegno.

La luce dentro

Ci sono corpi
che lo spazio divorano
annientandolo.
Altri che la luce
sottraggono
e altri trasparenti
che non hanno mistero.

IL tuo corpo
no.
Il tuo separa l’aria.
Occupa
ogni dimensione.
Alita energia
dissolvendo la notte.

Solo il pittore nato in Oriente
tra le rive del Fiume Giallo
saprebbe ritrarti.
Lui non si cura del riflesso del Sole.
Gli insegnarono a dipingere
la luce dentro.

Lui, si, saprebbe farlo
se avesse i miei occhi.

A volte accade

A volte accade.
Nel tempo che intercorre
tra un battito di ali a l’altro
di una farfalla
si apre improvvisa una discontinuità
nell’opaca materia che ci avvolge
e lo stupore incantato
del riconoscersi
ricongiunge passato e futuro
nell’attimo presente.

A volte accade.
La vertigine ignota
della porta che taglia
senza sfumature
la luce e l’ombra
é insostenibile
per l’animo
come per i polmoni
il puro ossigeno.

A volte accade.
Le parole che abbiamo sognato di pronunciare
perfette come i loro concetti
muoiono nella gola.
Subito dopo
resta
il fantasma malinconico
di ciò che poteva essere.

Luna saracena


Il tuo piacere è il mio
e non temo la tua follia.
Artigiano fedele
coloro lino del Nilo
di oro e guado.
Ne faccio tuniche
silenti testimoni
di rapiti languori
e di furori improvvisi
che non lasciano traccia
nella tua memoria..

Sfiorano le dita
le impronte ardenti
della tua pelle
profumata di mirra
sui fili intrecciati
da telai fenici.
Distesa
placa la tua arsura
un sonno privo di trasalimenti.


Quando finalmente
il tuo sguardo innocente
si volge alla falce di luna
che inargenta le dune
con Venere compagna
raccolgo i mitili
e tingo di porpora
la veste che lascerai cadere
nella mia tenda.

Tra candele di cera d’api
e fumi d’incenso.

Risveglio

Quando nella notte sciogli con le vesti
i lacci annodati del tuo desiderio
e nuovo é il canto che dalla tua gola risuona
si accendono le stelle della tua nascita.

Si illuminano i tragitti paralleli
alle rotte che hai disegnato
al tuo destino
troppo a lungo ignorati.
Intrepida e solitaria
immemore della tua natura.

Timoniere della tua vela
hai soffocato il grido
al canto di sirene inascoltate.
Il corpo hai legato
per riparare in porti che sognavi tranquilli.

Ora che i tuoi occhi
finalmente accesi
scolorando
ai miei si fondono inesausti
accogli senza pena il pianto.
Angelo inaspettato del tuo trionfo.

Duende

Nessuna delle parole coniate per te

é andata perduta.

Né i colori sono rimasti senza sguardo

né i suoni senza ascolto.

Consegnati agli occhi di tutti

vivono per sempre.

Duende di cuori zingari

declinano

nella febbre di notti insonni

lo stupore di epifanie inattese.

Non erano reti intrecciate

a trattenerti.

Solo i frammenti

dei tuo specchio frantumato

che in un giorno pigro di luglio

la mano esperta e paziente

di un antico viaggiatore

provò a ricomporre.

Scoprì

tra l’incanto di superfici scosse

che non era il solo a volerlo.

Oltre

Ho promesso di non muovermi
e mi hai bendato fino alla bocca
e gli orecchi mi hai riempito
di tenera cera d’api.
Solo la tua pelle
ha conosciuto la mia.

Mi sono liberato della cera
e ho ascoltato
il movimento e il respiro
i piedi scalzi sul marmo.

La bocca mi hai scoperto
per colarvi gocce
calde di miele
e cristalli luminosi.

Gli occhi infine mi hai aperto
e ti ho vista
vestita di luce
con pupille d’ambra.

Poi ti movesti
e annullasti lo spazio
riunendo i sensi
che avevi esaltato.

Odissea

Ben tornata
o meglio
ritrovata.
E’ stato un bel viaggio.
La prima volta sola
su argille morbide e crete colorate
di paesaggi magici.
Guardi i tuoi figli.
Li osservi
tenera e amante.
Scruti sui volti le tracce del tempo
i segni dei ricordi
la loro autonomia.
Scopri il calore di un lavoro ben fatto.

Il vento di ponente
carezza salmastra dell’adolescenza
ti reca il profumo
delle traiettorie sognate
e abbandonate.
Gli altari vuoti
il lessico complice
dei pleniluni.

Fieramente altera
mostri la tua fronte
arco di luce.
Talvolta ferita
sempre rinata
nel desiderio implacabile
di un profumo ignoto.
Adagiata sul fianco
sola
nell'attesa notturna
di carezze senza tregua
immaginate di natura aliena
finalmente a te uguale.

I movimenti naturali della vita
non ti giungono inaspettati
con il loro sapore di sangue.
Scuoti il tuo scudo
e ti arrendi al sogno
smemorandoti.
Rinnovata e ardente
per la prossima luna
.

Renovatio

L’urlo scese dalla torre di guardia
verso le spiagge e sui campi
Avvertimento di maree incontenibili
pietoso e furente
spingeva al riparo il marinaio
che al porto aveva affidato l’ancora
La curva gonfia del mare s’inarcò al cielo
travolgendo terre emerse
ingannate
dai giorni di acque immote
Si aprirono
abissi apparsi placati
da laboriose attenzioni
e argini innalzati da schiene curve
ardenti di fatica
Cielo e acqua si sciolsero l’uno nell’altro
E fu riempito il vuoto

Sai cosa attendo

Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro


Guardare il cielo della tua luna
refrigerio delle pupille
arse
dai paesaggi contratti
e dai cerchi infuocati
del solleone
Léggere le lettere
del tuo alfabeto alieno
che tardano ad apparire
mantenute al riparo
di nebbie artificiose
suscitate a difesa
di una vita
che non sopporta
la mia follia

Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro

Incolpevole
hai lasciato che i tuoi segni
mi rubassero gli occhi
Ora percorro sentieri
senza bussole
ignote geometrie
e labirinti senza filo
che concedono lente avanzate
Mi nutro di grani di luce
che bruciano i sensi stralunati
Visioni di palpiti
che tu disegnavi
e io non credevo esistessero

Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro

Nascono
dai giorni sempre uguali
oscillazioni pavide
nemiche dei sogni
che ti fanno bella
La paura del barbaro
inaridisce i pozzi
e frantuma le onde
in superfici piatte.
Notti senza vita
illuminate
da bagliori altrui.

Libera

China
bocca socchiusa
in lampi d'alabastro
sulla gola che ti si offriva intrepida
Predatrice curva
a calarti
padrona ondulatoria
nuvola nera di capelli.
Preda arrovesciata
inarcata e trafitta
e scossa
in percussioni profonde
Labbra implacabili
travasavano vita
ad ogni congiunzione
senza che un respiro
andasse perduto.
Implorandone ancora
dalle profondità incediate
estroflesse
da fusi trionfi.

Ti sollevavi
incoronata regina
e ti slegavi
e reclamavi il piacere
dei miei sguardi incantati
sulla tua danza.

Abbracciato a te
finalmente esausto
testa reclinata e cieca
sulla tua spalla d’ambra
non vedevo i tuoi occhi.

Aperti oltre la stanza.

10 Agosto

S’accende meno
Il cielo di San Lorenzo
Sono ormai asciutti
gli occhi della compassione.

Danzano senza speranza
i desideri del viandante
I suoi occhi
in attesa
tra i Carri e il Cigno
cercano improvvisi incendi
tardi ad apparire

L’alba saluta i passi
lenti
verso occidente

nel sogno della prossima notte

Amore

A uno a uno caddero i guardiani
E gli arcieri deposero gli archi
Si sciolsero come neve allo zenith
le gelide geometrie dei pensieri
obbligati a rispondere

Il desiderio cessò
di apparire uguale
agli infiniti desideri di ogni giorno
E si mostrò
Era lo stesso che spingeva
la Grande Tartaruga alla riva
a perpetuare il Ciclo

Non restava al suo corpo
altra libertà
che dare la vita dentro di lei
prescelta
La fecondazione
lo rese unico
strappandolo alla moltitudine
La ragione sorrise
Confusa.

Le ore del silenzio

Nascono
nella terra di nessuno
i desideri che non concedono tregua
Non li spengono
piaceri sfibrati e passi di danza
eseguiti a memoria
Fuochi fatui
di ore sempre uguali
che non ci appartengono.

Ama l’ignoto la mente
e confonde il corpo
concedendolo al presente
invocando rese irreversibili
Gli occhi
fosforescenti
al grido appena consumato
inseguono
nuovi arabeschi
disegnati nelle ore del silenzio

Non ci soccorrono
le maschere indossate
e i nostri giorni perduti
Né i baci rubati
o le carezze esperte
deserte di mistero
Quando gli occhi
in un solo attimo
ci concedono l’infinito
e le dita tese
non fermano il Tempo

17 Agosto

Si coprì la Luna
per il pudore
Aveva permesso al pastore
di scrutare i pleniluni erratici
e immaginare amori disumani
tra dei ed eroi
Identica sempre
non aveva misteri da svelare
oltre la superficie d’argento.

Dopo l’eclisse riapparve
rossa di vapori
che non le appartenevano
I colori della vita nascevano
dentro lo sguardo innamorato
di occhi umani imperfetti

A lei restavano le traiettorie
sempre uguali e monotone.
Fissate dalle sue fasi

prive di compassione.

Nova

Da un cielo

improvvisamente indaco

cadde pioggia di stelle

ardente

sui corpi intrecciati al tramonto

Bruciavano le carni

dissolvendosi in costellazioni

senza nome

nuove ai pastori

immobili sul deserto orizzonte

Ascoltami

Ascoltami
quando sull’onda di risacca
recido i nodi
legati alle caviglie

Guardami
mentre mi calo
incontro al desiderio
gridando la mia gioia.

Apri
la conchiglia delle tue braccia
respirando l’alito
dalle labbra socchiuse
e placa la mia danza

All’alba
riconoscente
leggerò nei tuoi occhi
l’amore divino
che ti ha liberata

La settima nota

Nelle geometrie del tuo spazio
mostri i segni e le cifre
di un mistero irrisolto
Mi dai e mi togli le parole
quando ti mostri
accorciando il respiro

L’angolo aperto
irradiante al centro
ruota sull’asse
invocando il cerchio
tra gli ardenti volumi

Sul piano inarcato e verticale
segnano i denti
rossi tratteggi
e fasci di parallele
la penna affilata delle dita

La percussione
onda frangente
impegna le tue corde
fragili e tese
cercando il si

che recherà il silenzio

Mare nostrum

Sale dal vicolo
la musica dolce
di una pianola a cilindri

Il vecchio la muove
sognando
e ignora dove gli aghi
attingano le note

La mia pelle no
Ad ogni giro
rammenta la partitura
segnata sul tuo corpo

L’eco rimbalza
tra le bianche case
degradanti al mare
e insegue la tua corsa
libera e ridente

Quando alla riva
s’arrestano i tuoi passi
tace l’ultimo accordo

fra gli assorti gabbiani

Ogni notte

Ogni notte
veglio sui tuoi sogni
amore mio riconosciuto
per risarcirmi del tempo
che non ho trascorso
vivendoti

Conto i respiri senza affanno
e leggo le palpebre mosse
dai desideri nascosti
nei tuoi giorni lenti
liberi
al salir della luna

Non ho chiesto permessi
né preteso certezze
Mi affido
al piacere degli occhi
Instancabili

A Josefa Idem

Valchiria rapita

da un amore italiano

scivoli silenziosa e veloce

su specchi d’acqua

incantati al tuo passo

Piega il tempo

il mulino armonioso

delle tue braccia

Madre guerriera

sempre prima alla meta

per occhi di giudici umani

L'adolescenza di Venere

Splendono
sotto riccioli neri
occhi di fuso acciaio
a sovrastare denti carnivori
incorniciati di morbido carminio

Il respiro corto solleva
seni impetuosi
centrati di viole
e il ventre convesso
ignaro di carezze

Impudenti
e rotondi glutei d'alabastro
serrano invano
il nero selvaggio
del vello inanellato

Il passo risoluto
delle bianche gambe tornite
fende l'aria calda
e ferisce lo sguardo
al grido stupito dei gabbiani

Canto andaluso

Tre volte
le tue dita si mossero
ad aprire la porta del Tempio

Tre volte
i tuoi occhi s’accesero
a fermare il Tempo sulla soglia

Tre volte
sfiorai la tua essenza
smemorandomi di ogni passato

Ora che tutto
si è compiuto
resta nei miei occhi accecati
il desiderio implacabile
della tua luce

Shimun

Improvvise
le fiamme arsero
al soffiò dello Shimun.
Lingue di fuoco
guizzavano
a bruciare simulacri

Una notte intera
la salamandra d’oro
ballò
nel suo elemento naturale
consumando
una delle mille vite

All’alba
il cielo pietoso
si sciolse in pioggia

a spegnere il rogo

Il dono

Esegui
a memoria
tra pareti chiuse
gesti lenti
senza fremiti

Fluttuano
suoni insensati
vuoti a perdere
per la tua mente
distratta
dalla nuova attesa

Percorrono
la tua pelle
i brividi di un canto libero
che credevi inascoltato
e sepolto
consegnato ai pleniluni



Sale
la tua risata
dalla gola.
Lapilli ardenti
improvvisi
di un sopito vulcano

Rimbalza
sulla chiostra alabastrina
di denti affilati
tra labbra innocenti
piegate a cuore
e accoglie l’avvento

Occhi teneramente obliqui
si aprono
sulle languide membra
e sui misteri
inesplorati e vergini
che sguardi pavidi
e polsi imbelli
non hanno mai misurato

La notte degli avventi

Rallenta la sua corsa il sole
e ci annuncia la notte più lunga
popolata di avventi.
Al dimorar del Carro
nacquero gli dei delle nostre paure
Antropomorfi nelle terre degli ulivi
serpenti piumati nel Tropico
guardiani senza carne
tra le rive d’Eufrate
e polimani sul Gange fangoso

S’infrange
l’invidia dei ventriloqui
sui corpi intrecciati
che non temono il buio
Nasce e rinasce la vita
dal seme caduto nel solco
e s’affinano
lungo le spirali della Storia
occhi temerari
che sondano gli abissi

e liberano le menti dalla paura

L’aquilone


Vuoi afferrarti all’aquilone?
Avanti c’è posto anche per te
Ma devi essere leggera
senza bagagli
Lasciali a terra
quelli dei viaggi consumati
lungo meridiani e paralleli
che ti hanno ricondotta
all’identico luogo
dove il vino
non possiede più
fermenti vivi
Né la birra né il latte
né i tuoi umori
modificati dal bisabololo
Ti mancheranno gli specchi
per rimirarti
ma niente ti darà la pace
del vento sul viso
Volando in alto
appesa al filo

Vuoi afferrarti all’aquilone?
Ventuno grammi
ti sono consentiti
Quanto pesano la tua memoria
e i sogni e i desideri
le passioni e i dolori
il dolce e l’amaro
le sconfitte e i trionfi
Il guardiano fanciullo
non baderà
alle tue vesti ricamate
all’oro e all’argento
delle dita inanellate
Né conosce canoni
per la bellezza delle superfici
e il lustro dei casati
Guarderà l’iride
e lascerà passare
solo occhi profondi e trasparenti
che si concedono nudi
senza richieste

Fado

Quando mi concedi
in questi giorni d’autunno
cangianti di colore
di visitare il tuo mistero
mi perdo e mi confondo

Procedi come un fado
al ritmo lento di una viola
e il respiro s’accorcia
su chiaroscuri convessi
che annunciano il delirio

Le ore del dovere
profumano d’anice
la tua pelle di seta
e di malinconia
i tuoi occhi silenti

Ora é nei miei occhi
testimoni insonni
del tuo furore
che misuri le vite
che disegni nei sogni