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sabato 13 ottobre 2012

Cari riformisti, afferriamo il capo della corda e tiriamola...


Cari riformisti, afferriamo il capo della corda e tiriamola…

Gli elementi fondamentali dello scollamento generale tra partiti e società, tra cittadini e istituzioni, sono di una evidenza solare. Riguardano l’onestà dei comportamenti pubblici, l’uso illegale a fini privati del pubblico denaro, la rigorosa applicazione delle leggi e delle regole, che pur imperfette, abbondano, la inamovibilità delle oligarchie che ci governano. Il giudizio negativo che ne consegue è  minimo comune denominatore della stragrande maggioranza, se non della totalità, degli Italiani.

Rispetto a tale denominatore comune, un programma politico che intendesse riconciliare cittadinanza e rappresentanza avrebbe ben poco da immaginare e poche semplici cose da indicare:
rendere più perspicue e stringenti le misure anticorruzione, rispettare la volontà degli elettori sul finanziamento pubblico, orientare l’azione repressiva dei corpi dello stato, coordinandone costantemente l’azione verso i reati fiscali, le frodi contro la salute pubblica,  la perversione delle regole del libero mercato - appalti e consulenze – specializzare e finanziare con più risorse l’azione della magistratura per renderla efficace in tempi brevi, ma, soprattutto,  mettere in campo una nuova selezione di amministratori della cosa pubblica, competenti e innocenti, perché il giudizionegativo  sullo sperimentato è inappellabile. E a questo combattimento civile dovrebbero impegnarsi umilmente soprattutto gli intellettuali come accadde a  “Socrate, che filosofò ma combattè da oplita a Potidea, o Dante, che poetò ma combattè a Campaldino, e, poichè non tutti e non sempre possono compiere questa forma straordinaria di azione, partecipare alla quotidiana, e più aspra e più complessa guerra, che è la politica.”

Un siffatto programma, non è, come si capisce, né di destra né di sinistra: è un programma di salute pubblica e se i partiti avessero la forza, al proprio interno, di fare pulizia  e rinnovarsi, il fisiologico gioco democratico potrebbe riprendere  senza momenti eccezionali. In questo senso, la cosiddetta agenda Monti, entrerebbe, come metabolismo culturale, dentro il sistema venoso dei partiti e corrisponderebbe a quel nucleo di valori comuni da salvaguardare, dividendosi sul rapporto pratico tra libertà ed uguaglianza, quello sì, configurabile nelle appartenenze di destra e di sinistra.

La crisi che è sistemica, nel nostro paese; s’intreccia con la crisi economica e finanziaria che investe
le grandi aree geopolitiche ed è evidente che ci costringe a pagare prezzi più alti per via degli inestricabili nodi accumulatisi per convenienze politico sociali, inettitudine amministrativa, conservatorismi, ritardi. Affrontare questo arduo passaggio con i vecchi paradigmi della politica italiana è errore micidiale. Immaginare di vincere la prossima competizione elettorale, confidando sul consenso che strati di  protesta sociale possono concedere a un programma che si rifugi nei corporativismi, è frutto della vecchiezza dei gruppi dirigenti della sinistra italiana. Non vi è dubbio che occorre una più equa redistribuzione dei sacrifici e un solido welfare per le famiglie ma il registro fondamentale del programma politico è quello che si indicava all’inizio: un programma di salute pubblica che parli al popolo superando steccati e rianimando la fiducia dei figli e nei figli. 

Per chi crede nel bisogno di una scossa benefica per ricostruire un paese profondamente dissestato, le opzioni più significative sono quelle rappresentate da Renzi e dal Movimento 5 stelle. Quest’ultimo, che gode della simpatia di larghi strati del ceto medio urbano, non ha ancora definito programmi e rappresentanti, ma una sua presenza nel nuovo parlamento non farà male. Il Sindaco fiorentino è invece figlio dell’idea più nuova nel panorama dei partiti italiani e in particolare di quelli riformisti: il PD. Non v’è dubbio che la sua proposta politica, il suo programma incarnino l’evoluzione che serve  per una Italia europea e finalmente nomale. Proposta politica e programma che hanno il pregio di determinare una presa di coscienza e una adesione non solo dentro i recinti del tradizionale insediamento di centrosinistra  ma nel cuore del popolo stesso,  provocando quegli smottamenti ampi e profondi che servono per un futuro ordinato di speranza.  

Le elezioni del prossimo anno, non sono la dead line per Matteo Renzi. Se cedesse alla fretta, cederebbe a una cattiva consigliera. La buona comunicazione, i fatti e i misfatti di un fallimento evidenti a tutti da soli non sono sufficienti a costruire nei prossimi mesi un solido e tenace nuovo riferimento riformistico. Ha iniziato la sua marcia e ha scelto bene il tempo, ma nel procedere deve selezionare, costruire squadra, dare prove di coerenza e di saggezza, allargare la comunità e l’impegno comuni, diradare le diffidenze. Ha il tempo per farlo: il cantiere della Nuova Italia ha bisogno di un lavoro lungo e disteso. Sono altri che non hanno tanto tempo a disposizione, perché i loro paradigmi non corrispondono più alla realtà. Sono questi che considerano il prossimo aprile, l’ultima spiaggia  ritenendo che la crisi del berlusconismo e del suo blocco politico gli offre vantaggi tali da mascherare con alleanze ideologiche la povertà dell’innovazione e  la incapacità di decidere su tutte le grandi questioni. Pensate all'assurdità di slogan come "fare come Hollande" oppure "fare come i socialdemocratici tedeschi" come se noi fossimo la Francia con le sue istituzioni e il suo stato o come la Germania, con i suoi sindacati  e il suo popolo, fitto e unito come le sue sterminate foreste di abeti.

Si è detto che Pierluigi Bersani, competente e pragmatico segretario del PD, abbia scelto le primarie aperte di coalizione per determinare su di sé una legittimazione popolare ampia  che in qualche modo lo affranchi dalle ipoteche dei suoi grandi elettori interni. Appare una lettura possibile delle mosse politiche del dirigente  emiliano, anche se il segno dell’accordo programmatico, stilato con la sinistra radicale, per genericità e per inaspettate omissioni,  può far nascere più di un dubbio su questa intenzione emancipatrice. Tuttavia non mi pare questo l’aspetto essenziale. Il capo della corda, che ogni cittadino democratico e pensoso del bene comune deve contribuire a tirare per risollevare l’obelisco delle istituzioni e dell’economia, è altra cosa. Se Bersani ha veramente la benefica intenzione  che molti sinceri riformisti, dentro il suo partito, gli attribuiscono, ha ampi spazi di manovra e gesti univoci da agire:  il suo principale contendente non lo sta sfidando irrimediabilmente, sul 2013 - anno che potrebbe rivelarsi ancora di confusa transizione -  ma sulla prospettiva del futuro del paese e del PD. Quindi Bersani potrebbe definire date del prossimo congresso, dichiarare apertamente intangibile lo statuto del Pd sulle rappresentanze, preparare, qualunque sia la legge elettorale, le primarie per le rappresentaze da eleggere, definire l’agenda Monti, per quello che è - spirito repubblicano ineludibile – fare una visita al camper del suo rivale, decidere che il prossimo Parlamento sia la nuova Assemblea Costituente per la riforma istituzionale. Insomma Bersani ha ampi paesaggi davanti piuttosto che la provinciale e angusta foto di Vasto.

Tutto ciò riguarda l’intelligenza della fase politica da parte di Bersani, appunto, non quella degli elettori stanchi dei riti e fedeli alla Costituzione e quello che questi elettori possono fare per cambiare.. Per tornare alla metafora della corda, sono convinto che chi vuole finalmente convogliare su rotaie rinnovate il convoglio del riformismo italiano non può che votare alle primarie Matteo Renzi e convincere a votarlo il più alto numero di italiani possibile, senza indulgere a improponibili prove d’appello. Abbiamo già dato.  Più forte sarà Renzi, più forte sarà il Bersani rinnovatore, se non è un abbaglio,  più forte sara l'agenda Monti, più rapidi saranno i processi di aggregazione di una destra moderna e costituzionale. Non è, come si è detto un pranzo di gala: per questo i riformisti devono rompere ogni indugio e scegliere. 

domenica 30 settembre 2012

23 anni dopo la Bolognina...


Assieme all’astensionismo cresciuto a dismisura,  le principali novità nell’orientamenti degli elettori italiani sono Beppe Grillo e Matteo Renzi. Ma del comico genovese e di come si organizzerà per essere presente alle elezioni di primavera, pare che nessuno sia preoccupato più di tanto. Come se il lavoro di demolizione, fin qui svolto con l’uso sapiente delle nuove tecnologie mediatiche, si fosse esaurito in cumuli di mattoni disgregati a punteggiare la penisola, che esperti in riciclo si preoccuperanno di caricare su camion capienti diversamente e localmente denominati. Probabilmente lo stesso Beppe Grillo si è via via reso conto che senza un apparato “burocratico ed esperto” non è in grado di passare dal movimento all’organizzazione e, soprattutto, di mantenerne una disciplinata  azione collettiva. Certo è che una domanda nuova, in libera uscita, che si aggira tra il 12 e il 18% , sembra destinata, se non si manifesteranno rappresentanti nazionalmente credibili, a ingrossare le file dei populisti più sperimentati e anche quelle della nuova destra estrema.

Matteo Renzi, esploso come fenomeno politico, più tardi del Movimento 5 Stelle, sembra invece far paura a tutto l’establishment politico mediatico di destra, di centro e di sinistra. Ho incluso la destra, perché non debbono ingannare gli endorsement, interessatamente amplificati di personaggi dell’Italia gossippara,  il cui naso, quando non è imbiancato dalla cocaina, ama incipriarsi nel più popolare borotalco. Chi ha ingannato gli italiani a destra, promettendo la rivoluzione liberale, teme strategicamente Matteo Renzi molto di più di Bersani o di Vendola. Nell’immediato si augura piuttosto che il dibattito interno al PD indebolisca quel risultato elettorale vincente che lo stato maggiore ex DS ha ipotizzato estrapolandolo – illusoriamente – dalle elezioni amministrative. Dico illusoriamente, perché non c’è giorno che passi che non sfibri la tenuta democratica delle istituzioni, la credibilità dei partiti come sono stati e sono. Insomma, gli scenari sui quali  ragionano Casini, Bersani, Vendola, Di Pietro, Maroni discendono da  paradigmi che chi frequenta un bar, un mercato, una sala d’attesa di un medico della mutua, sente ormai completamente saltati nelle teste dei propri connazionali. Certo, Casini e Bersani fondano le loro speranze elettorali  sulla tenuta delle  vecchie rispettive chiese, ma il terremoto è stato profondo, ripetuto e gli sciami sismici  persistono su ogni territorio.

Ci sono poi le élite, quelle che, storicamente minoritarie, prefigurano assetti ai quali docilmente, ceti e gruppi sociali dovrebbero con gratitudine, silenziosamente assoggettarsi. Soprattutto oggi che governano e che un fondamentale servizio al paese lo hanno dato dopo il ventennale disastro berlusconiano e l’altrettanta ventennale insipienza politica del fronte opposto. Di questa élite Eugenio Scalari è un leader indiscusso e autorevole. Ed è sceso in campo proprio lui, con inusitata volgarità intellettuale e smisurata superbia per tentare di affogare sul nascere il neonato Matteo Renzi, la sua proposta, il suo programma, di certo sentiti  molto pericolosi per i disegni di chi non vuole che si disturbi una riedizione puramente emergenziale del governo Monti.

Francamente non meno scandalo per questo: mi verrebbe da dire, niente di nuovo sotto il sole: si sa che certe figure da Gran Riserva, vengono tenute al riparo, dagli agoni dei tempi normali,  proprio per le situazioni di grande crisi nell’assetto e nella tenuta politica di un paese. Intervenire per salvare ma senza cambiare. Salvare, nella situazione italiana è già grande merito, ma se non si cambia si ucciderà quel poco che resta del sistema produttivo italiano e soprattutto dopo ottocento anni si inciderà drammaticamente nella tenuta civile e umana della nostra storica specificità, i Comuni.

E dunque il mio rammarico e la mia critica si volgono nei confronti di tutte le figure vecchie e meno vecchie  del riformismo italiano di matrice PCI, soprattutto nei confronti di quelli che spregiativamente, in quella tradizione, venivano indicati come miglioristi. Se, dopo ventitre anni di esperienza dalla Bolognina, non hanno ancora capito che la sfida di Matteo Renzi è la vera sfida liberale e riformista che rompe i vecchi e asfissianti paradigmi e continuano la litania sul massimalismo non vedo cosa altro debba accadere per decidere dove stare. 

venerdì 7 settembre 2012

Io lo firmo un manifesto che chieda a Monti la formazione di un partito che guardi a sinistra




Chi ha confezionato il papello pubblicato da Il Foglio sul patto di spartizione tra i capicorrenti del PD? Chi dubita che intorno alle quattro poltrone più importanti della Repubblica siano in corso spericolate, torbide e spietate manovre? Chi non vede in questo l’operosa attività delle vecchie volpi della Prima Repubblica? Chi non percepisce che tra l’iniziativa e la tela tessute da Giorgio Napolitano e la tradizionale coazione a ripetere complotti, che raduna all’uopo tutte le corporazioni che hanno privilegi da difendere, fino alla mafia, c’è un fossato che diventa di giorno in giorno sempre più incolmabile?  Chi spregiando il dito volgare di Grillo ha dimenticato che la luna indicata è veramente orrida? Chi è così dimentico delle regole della politica da non vedere che il migliore alleato di Bersani è Renzi? Chi può mai pensare che l’affermazione di tante donne e uomini che stanno amministrando bene comuni, province e regioni non passi attraverso “l’esilio” delle vecchie volpi? 

Questo è il tempo dell'accelerazzione e della scelta del bene comune principale: la Repubblica.

giovedì 6 settembre 2012

Non è sufficiente scegliere buoni candidati: occorre un programma chiaro di riforme istituzionali


La discussione sui limiti delle donne e degli uomini nuovi che si propongono per governare il paese è francamente piena di luoghi comuni, sopravvalutazioni mitologiche dello stato e della sua complessità, conservatorismi, confusione sulle caratteristiche preminenti  che deve possedere un primo ministro. Certo, in Italia più che altrove, ci sono specificità della sua costituzione materiale, che impongono ad ogni governante di conoscere bene almeno la storia del paese.

C’è una sovranità limitata, codificata con un vero e proprio trattato - i Patti lateranensi -  riscontrabile, per qualche verso, solo nelle repubbliche islamiche, in quanto a ingerenze, pregiudizi ideologici, pretese etiche. Questa specificità   richiede al politico laico una grande autonomia culturale, un forte senso dell’equilibrio e dello stato, una visione dei grandi processi conoscitivi da consolidare senza fughe in avanti..

C’è una criminalità organizzata con un governo della violenza e della finanza antico, diffuso territorialmente e molto evoluto, che determina distorsioni economiche gravi,influenze politiche sotterranee, tensione permanente dei corpi dello stato che devono intendere, prevenire, reprimere, spesso in solitudine e orientati dal valore preminente della res publica - come accade all’Arma dei Carabinieri, che ha fatto di questa fedeltà una ideologia -  e che reclamano premier trasparenti, non ricattabili, incensurati.

C’è una burocrazia amministrativa tra le più pletoriche, dispendiose e dense di attrito decisionale che non è più in sintonia con una visione politica nazionale , sia pure di parte:  gestisce autonomamente i suoi privilegi, è al centro, ancor più dei partiti, di un sistema opaco e spesso corrotto di accaparramento delle risorse pubbliche. E questo richiede un politico che abbia almeno una qualche esperienza amministrativa sul campo.

C’è un sistema industriale atipico, costruito su grandi  punte eccellenti, correlato a un indotto diffuso, creativo, ma di ridotte dimensioni e  spesso border line nel rispetto dei diritti dei lavoratori e  dell’obbedienza fiscale. Un sistema costruito dall’intervento statale e da una intelligenza programmatica consociativa che si è via via perduta con il modificarsi degli equilibri mondiali e le mancate risposte alle nuove sfide. Mancate risposte in termini di investimenti in ricerca, innovazione, ammodernamento tecnologico. All’ombra di questo sistema si è consolidata una borghesia parassitaria, sempre protezionista, che della fase della economia globalizzata ha saputo cogliere solo le occasioni predatorie del risparmio nazionale, mettendo, con la complicità dei partiti, le mani sul controllo dei servizi e delle banche. Un tale dato strutturale richiede una conoscenza dei meccanismi economici fondamentali, un pragmatismo sperimentatore e innovatore.

Poi c’è la crisi mondiale:  è così estesa, profonda e così carica di novità  che rende inesplicabili alcuni fenomeni e  inutilizzabili le vecchie ricette sul ciclo; il dato certo è che  impone una dimensione geografica e politica enormemente più grande di quella nazionale. La parola chiave per noi diventano gli Stati unisti d’Europa. Il politico adeguato deve essere non solo un europeista convinto ma culturalmente un cittadino europeo.

In questo contesto misuriamo dunque protagonisti, candidati vecchi e nuovi. Stando alle regole del buon senso comune dovremmo scartare quanti hanno dato lunghe e ripetute cattive prove di sé o che addirittura, con la vecchiezza delle loro impostazioni, sembrano più costituire un problema che una soluzione. Personalmente non indulgo al novismo né tantomeno alla mitizzazione delle vecchie volpi: di queste, poi, aborrisco il ghigno che gli ultimi trenta anni gli hanno stampato sul volto. Ci sono numerose donne e numerosi uomini che hanno ben studiato e ben lavorato che si propongono senza ricorrere alle appartenenze ma presentando progetti e idee. Hanno visibilità? Verranno scelti?
Questo mi sembra il tema principale della selezione e in questo senso il ciclone Grillo, la sparigliatura  di Renzi e anche la testardaggine di Bersani sulle primarie anomale sono comunque rotture di argini che possono permettere un fisiologico rinnovamento. Ma, aggiungerei che a questo fine è indispensabile che si formi un raggruppamento che si richiami esplicitamente a Monti e alla Fornero e che guardi a sinistra.

Sapremo scegliere?  Ci incombe questa responsabilità di scelta ma, soprattutto, ci appartiene la possibilità di investire in autorevolezza donne e uomini per un governo. Infatti, se al candidato a guidare il paese richiediamo competenza, cultura storica, onestà, combattività, dobbiamo sapere che  la forza per decidere in modo libero e autonomo, gliela daremo noi. E questa forza è essenziale per governare bene. E qui le cose diventano incerte perché la paura di innovare attanaglia i partiti.

Il problema, infatti, non è se Monti, Fornero, Bersani, Renzi, Alfano, Casini, Grillo hanno qualità e competenze sufficienti e capacità di allestire squadre efficaci  ma  che tipo di potere di governo il nostro assetto istituzionale è in grado di garantire a chi si propone democraticamente per essere scelto. Mario Monti, per fare quello che ha fatto in 10 mesi - e ha fatto tanto – ha goduto di una “riforma istituzionale” eccezionale, quella del fallimento della destra e dell’inadeguatezza della sinistra cristallizzati nel Parlamento attuale, il chè ha permesso a Napolitano, sostenuto dalle cancellerie europee e dagli USA, di nominare il Governo del Presidente.

Ma noi che andremo a votare avremo questa possibilità? Il nostro voto, con queste regole, ci permetterà di dare all’Italia quel governo forte, stabile in grado di prendere decisioni rapide e persino impopolari?

Non mi pare.

E non credo che l’accordo raggiunto da ABC sulla legge elettorale abbia il peso riformatore che ci serve. Allora la prossima legislatura dovrà essere una legislatura costituente, Deve porsi il problema di un assetto istituzionale che coniughi governabilità e rappresentatività. E’ mia personale convinzione che a noi serve il modello francese. Per questa ragione penso sia necessario che la leadership del governo attuale tagli corto con le riserve sullo scendere in campo non più da tecnici ma da politici. Occorre un patto chiaro e manifesto tra Monti e  Bersani per un governo che abbia la fiducia dell’Europa e degli USA  e che adegui rapidamente il proprio assetto istituzionale per le sfide che verranno.