Cari riformisti, afferriamo il
capo della corda e tiriamola…
Gli elementi fondamentali dello
scollamento generale tra partiti e società, tra cittadini e istituzioni, sono
di una evidenza solare. Riguardano l’onestà dei comportamenti pubblici, l’uso
illegale a fini privati del pubblico denaro, la rigorosa applicazione delle
leggi e delle regole, che pur imperfette, abbondano, la inamovibilità delle
oligarchie che ci governano. Il giudizio negativo che ne consegue è minimo comune denominatore della stragrande
maggioranza, se non della totalità, degli Italiani.
Rispetto a tale denominatore comune, un programma politico che intendesse riconciliare cittadinanza e rappresentanza avrebbe ben poco da immaginare e poche semplici cose da indicare:
rendere più perspicue e stringenti
le misure anticorruzione, rispettare la volontà degli elettori sul
finanziamento pubblico, orientare l’azione repressiva dei corpi dello stato, coordinandone costantemente l’azione verso i reati fiscali, le frodi contro la
salute pubblica, la perversione delle
regole del libero mercato - appalti e consulenze – specializzare e finanziare
con più risorse l’azione della magistratura per renderla efficace in tempi
brevi, ma, soprattutto, mettere in campo
una nuova selezione di amministratori della cosa pubblica, competenti e
innocenti, perché il giudizionegativo sullo sperimentato è inappellabile. E a questo
combattimento civile dovrebbero impegnarsi umilmente soprattutto gli
intellettuali come accadde a “Socrate,
che filosofò ma combattè da oplita a Potidea, o Dante, che poetò ma combattè a
Campaldino, e, poichè non tutti e non sempre possono compiere questa forma
straordinaria di azione, partecipare alla quotidiana, e più aspra e più
complessa guerra, che è la politica.”
Un siffatto programma, non è,
come si capisce, né di destra né di sinistra: è un programma di salute pubblica
e se i partiti avessero la forza, al proprio interno, di fare pulizia e rinnovarsi, il fisiologico gioco
democratico potrebbe riprendere senza
momenti eccezionali. In questo senso, la cosiddetta agenda Monti, entrerebbe,
come metabolismo culturale, dentro il sistema venoso dei partiti e
corrisponderebbe a quel nucleo di valori comuni da salvaguardare, dividendosi
sul rapporto pratico tra libertà ed uguaglianza, quello sì, configurabile nelle
appartenenze di destra e di sinistra.
La crisi che è sistemica, nel
nostro paese; s’intreccia con la crisi economica e finanziaria che investe
le grandi aree geopolitiche ed è
evidente che ci costringe a pagare prezzi più alti per via degli inestricabili
nodi accumulatisi per convenienze politico sociali, inettitudine
amministrativa, conservatorismi, ritardi. Affrontare questo arduo passaggio con
i vecchi paradigmi della politica italiana è errore micidiale. Immaginare di
vincere la prossima competizione elettorale, confidando sul consenso che strati di protesta sociale possono concedere a un
programma che si rifugi nei corporativismi, è frutto della vecchiezza dei gruppi
dirigenti della sinistra italiana. Non vi è dubbio che occorre una più equa
redistribuzione dei sacrifici e un solido welfare per le famiglie ma il
registro fondamentale del programma politico è quello che si indicava all’inizio:
un programma di salute pubblica che parli al popolo superando steccati e
rianimando la fiducia dei figli e nei figli.
Per chi crede nel bisogno di una scossa benefica per ricostruire un paese profondamente dissestato, le opzioni più significative sono quelle rappresentate da Renzi e dal Movimento 5 stelle. Quest’ultimo, che gode della simpatia di larghi strati del ceto medio urbano, non ha ancora definito programmi e rappresentanti, ma una sua presenza nel nuovo parlamento non farà male. Il Sindaco fiorentino è invece figlio dell’idea più nuova nel panorama dei partiti italiani e in particolare di quelli riformisti: il PD. Non v’è dubbio che la sua proposta politica, il suo programma incarnino l’evoluzione che serve per una Italia europea e finalmente nomale. Proposta politica e programma che hanno il pregio di determinare una presa di coscienza e una adesione non solo dentro i recinti del tradizionale insediamento di centrosinistra ma nel cuore del popolo stesso, provocando quegli smottamenti ampi e profondi che servono per un futuro ordinato di speranza.
Le elezioni del prossimo anno, non sono la dead line per Matteo Renzi. Se cedesse alla fretta, cederebbe a una cattiva consigliera. La buona comunicazione, i fatti e i misfatti di un fallimento evidenti a tutti da soli non sono sufficienti a costruire nei prossimi mesi un solido e tenace nuovo riferimento riformistico. Ha iniziato la sua marcia e ha scelto bene il tempo, ma nel procedere deve selezionare, costruire squadra, dare prove di coerenza e di saggezza, allargare la comunità e l’impegno comuni, diradare le diffidenze. Ha il tempo per farlo: il cantiere della Nuova Italia ha bisogno di un lavoro lungo e disteso. Sono altri che non hanno tanto tempo a disposizione, perché i loro paradigmi non corrispondono più alla realtà. Sono questi che considerano il prossimo aprile, l’ultima spiaggia ritenendo che la crisi del berlusconismo e del suo blocco politico gli offre vantaggi tali da mascherare con alleanze ideologiche la povertà dell’innovazione e la incapacità di decidere su tutte le grandi questioni. Pensate all'assurdità di slogan come "fare come Hollande" oppure "fare come i socialdemocratici tedeschi" come se noi fossimo la Francia con le sue istituzioni e il suo stato o come la Germania, con i suoi sindacati e il suo popolo, fitto e unito come le sue sterminate foreste di abeti.
Per chi crede nel bisogno di una scossa benefica per ricostruire un paese profondamente dissestato, le opzioni più significative sono quelle rappresentate da Renzi e dal Movimento 5 stelle. Quest’ultimo, che gode della simpatia di larghi strati del ceto medio urbano, non ha ancora definito programmi e rappresentanti, ma una sua presenza nel nuovo parlamento non farà male. Il Sindaco fiorentino è invece figlio dell’idea più nuova nel panorama dei partiti italiani e in particolare di quelli riformisti: il PD. Non v’è dubbio che la sua proposta politica, il suo programma incarnino l’evoluzione che serve per una Italia europea e finalmente nomale. Proposta politica e programma che hanno il pregio di determinare una presa di coscienza e una adesione non solo dentro i recinti del tradizionale insediamento di centrosinistra ma nel cuore del popolo stesso, provocando quegli smottamenti ampi e profondi che servono per un futuro ordinato di speranza.
Le elezioni del prossimo anno, non sono la dead line per Matteo Renzi. Se cedesse alla fretta, cederebbe a una cattiva consigliera. La buona comunicazione, i fatti e i misfatti di un fallimento evidenti a tutti da soli non sono sufficienti a costruire nei prossimi mesi un solido e tenace nuovo riferimento riformistico. Ha iniziato la sua marcia e ha scelto bene il tempo, ma nel procedere deve selezionare, costruire squadra, dare prove di coerenza e di saggezza, allargare la comunità e l’impegno comuni, diradare le diffidenze. Ha il tempo per farlo: il cantiere della Nuova Italia ha bisogno di un lavoro lungo e disteso. Sono altri che non hanno tanto tempo a disposizione, perché i loro paradigmi non corrispondono più alla realtà. Sono questi che considerano il prossimo aprile, l’ultima spiaggia ritenendo che la crisi del berlusconismo e del suo blocco politico gli offre vantaggi tali da mascherare con alleanze ideologiche la povertà dell’innovazione e la incapacità di decidere su tutte le grandi questioni. Pensate all'assurdità di slogan come "fare come Hollande" oppure "fare come i socialdemocratici tedeschi" come se noi fossimo la Francia con le sue istituzioni e il suo stato o come la Germania, con i suoi sindacati e il suo popolo, fitto e unito come le sue sterminate foreste di abeti.
Si è detto che Pierluigi Bersani,
competente e pragmatico segretario del PD, abbia scelto le primarie aperte di
coalizione per determinare su di sé una legittimazione popolare ampia che in qualche modo lo affranchi dalle
ipoteche dei suoi grandi elettori interni. Appare una lettura possibile delle
mosse politiche del dirigente emiliano, anche se il segno dell’accordo
programmatico, stilato con la sinistra radicale, per genericità e per inaspettate omissioni, può far nascere più di un
dubbio su questa intenzione emancipatrice. Tuttavia non mi pare questo l’aspetto
essenziale. Il capo della corda, che ogni cittadino democratico e pensoso del
bene comune deve contribuire a tirare per risollevare l’obelisco delle
istituzioni e dell’economia, è altra cosa. Se Bersani ha veramente la benefica intenzione
che molti sinceri riformisti, dentro il suo partito, gli
attribuiscono, ha ampi spazi di manovra e gesti univoci
da agire: il suo principale contendente
non lo sta sfidando irrimediabilmente, sul 2013 - anno che potrebbe rivelarsi ancora di confusa transizione
- ma sulla prospettiva del futuro del
paese e del PD. Quindi Bersani potrebbe definire date del prossimo congresso,
dichiarare apertamente intangibile lo statuto del Pd sulle rappresentanze,
preparare, qualunque sia la legge elettorale, le primarie per le rappresentaze
da eleggere, definire l’agenda Monti, per quello che è - spirito repubblicano ineludibile – fare
una visita al camper del suo rivale, decidere che il prossimo Parlamento sia la nuova Assemblea Costituente per la riforma istituzionale. Insomma Bersani ha ampi paesaggi davanti piuttosto che la provinciale e angusta foto di Vasto.
Tutto ciò riguarda l’intelligenza
della fase politica da parte di Bersani, appunto, non quella degli elettori stanchi
dei riti e fedeli alla Costituzione e quello che questi elettori possono fare per cambiare.. Per tornare alla metafora della corda, sono
convinto che chi vuole finalmente convogliare su rotaie rinnovate il convoglio
del riformismo italiano non può che votare alle primarie Matteo Renzi e convincere
a votarlo il più alto numero di italiani possibile, senza indulgere a
improponibili prove d’appello. Abbiamo già dato. Più forte sarà Renzi, più forte sarà il Bersani rinnovatore, se non è un abbaglio, più forte sara l'agenda Monti, più rapidi saranno i processi di aggregazione di una destra moderna e costituzionale. Non è, come si è detto un pranzo di gala: per questo i riformisti devono rompere ogni indugio e scegliere.