Il parastato partitico del mondo
della sinistra, dentro il quale è collocato ancora pesantemente il PD, ha tutto da perdere dalla gigantesca cura
dimagrante che devono fare gli istituti di rappresentanza, gli enti intermedi,
tutte le sinecura inventate per sistemare capibastone territoriali, regionali,
comunali, circoscrizionali. Certo circola ancora molta nostalgia
ideologica, ma è strumentazione polemica per nascondere la sostanza: gli interessi, le carriere di una miriadi di
mestieranti partitici. Le nomine nelle migliaia di enti comunali, provinciali,
regionali e i bilanci di piccole e grandi coop beneficiati
da una spesa pubblica facile e dalla magnanimità delle licenze della grande
distribuzione.
Per questo non appare buffo che
un signore non iscritto al PD si presenti per candidarsi alla sua guida. Quella
roba di cui parlavo prima lo ha già annusato ed è pronta a farlo vincere “democraticamente”
nei congressi. Ma se fosse questo il disegno, cioè l’ennesimo rimpannucciamento
intorno alla ditta il disastro generale per il centrosinistra sarebbe irreversibile.
Il Paese, al di là di mirate,
brevi e finanziariamente autosufficienti politiche espansive deve “risputare “
tutto quello che ha ingoiato di surplus legato alla dissipazione del denaro
pubblico per cementare consenso e deve dotarsi di un nuovo sistema di govenance scegliendo un modello istituzionale più consono alle sfide che l'Europa unita richiede. Chiunque governi. Allora la questione
decisiva, rispetto all’emergenza politico sociale italiana è se gli eredi più
intelligenti dell’ex PCI, pur senza l’autodafè dello streaming bersaniano
grillino, abbiano un soprassalto autocritico e dimostrino compassione per l’Italia.
Non è un Midas quello che serve, ma un San Ginesio. Nel bene e nel male ancora
una volta è Massimo D’Alema che ha le carte che servono a un processo unitario
e non scissionistico.
Nessun commento:
Posta un commento