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mercoledì 29 maggio 2013

Un nuovo PD : unica speranza di cambiamento


Il test elettorale che ha riguardato sette milioni di italiani, tra i quali un aggregato molto specifico come i cittadini romani, governati dal centro destra, conferma ciò che nell’analisi è sempre più chiaro da un quadriennio: la rottura del patto sociale, la crisi delle nomenclature che hanno governato venti anni della cosiddetta seconda repubblica, il vento populista che gonfia e affloscia le vele di personaggi mediatici che non riescono ad andare oltre la denuncia: si chiamino Orlando,  Silvio Berlusconi, Di Pietro, De Magistris, Beppe Grillo.

L’astensionismo cresce a dismisura. Negli ultimi tre mesi a quello provocato dal disgusto per le pratiche sorde e opache dei partiti si è aggiunto lo sconcerto di 55 giorni di confusione quirinalizia originata da una direzione del PD tanto incapace quanto tetragona a tutti i ragionevoli e chiari segnali inviati dall’elettorato. La sfiducia nell’attuale sistema della rappresentanza coinvolge la maggioranza dei cittadini. Che il fenomeno preluda a un conflitto sociale che scelga strade di rottura e violente dipenderà molto dal persistere della crisi con l’impraticabilità delle tradizionali politiche espansive della spesa pubblica. Se l’Europa del Nord acconsentirà all’allentamento del rigore è possibile  che le politiche di spesa permettano il riassorbimento delle tensioni più acute? E, in questo caso, il nuovo astensionismo si aggiungerà a quello tradizionale postbellico e accadrà da noi quello che già avviene negli USA dove la espressione attiva del voto è costantemente bassa? Ho seri dubbi. I due sistemi politico sociali non sono meccanicamente  comparabili. Ciò che negli USA è fisiologico da noi è invece il  portato di una protesta contro  un feudalesimo politico e  finanziario che alimenta rendite di posizione ormai insopportabili e non riassorbibili nel ciclo perdurante di una crisi continentale di lunga durata. Paghiamo quindi i ritardi di una mancato investimento nell’innovazione, nella formazione, nella specificità manifatturiera. Non ci mancano i fondamentali per uscirne fuori, ma ci occorrerebbero dieci anni di un monocolore ampiamente maggioritario sostenuto da una visione condivisa.

Grillo e Casaleggio puntano alla fine dei partiti negando ogni politica delle alleanze. L’idiosincrasia della mediazione è figlia della convinzione che gli interessi della cittadinanza non siano mediabili con quelli che detengono il potere politico oggi. Lo sfascio, l’inettitudine, la povertà del personale politico imperante è tale che non è facile smontare la convinzione del gruppo dirigente pentastellato: hanno fatto un pieno così tumultuoso e mai registratosi prima di voti che la controprova del recupero è evidentemente onere di altri. E in ogni caso in quel movimento si agitano, accanto a posizioni risibili, indubitabilmente spinte verso una rappresentanza della decisione e della partecipazione che vanno fuori dai confini nazionali e hanno forti analogie al nord , al sud, ad ovest e ad est del mediterraneo. In Germania sta nascendo il Bewegung 5 Sterne. C’è quindi un disagio di fondo nei popoli europei che è analogo sia nei paesi poco virtuosi  dell’Europa del sud che in quelli più previdenti e rigorosi del Nord.  

Tuttavia, in Italia, il dimezzamento del M5S, nel breve arco che va dalle politiche alle amministrative del 26-27 maggio, è troppo rapido per non contenere tra le sue cause, oltre alla tipica volubilità dei comportamenti dentro l’aggravarsi di una crisi sistemica, la critica ad una povertà del personale politico e all’inconcludenza nel governare che questo nascente movimento ha dimostrato in uno degli appuntamenti istituzionali più alti italiani: la Presidenza del Consiglio e la Presidenza della repubblica.

Silvio Berlusconi, con una campagna elettorale politica di eccezionale sforzo mediatico e finanziario - concentrata populisticamente sui punti sensibili immediatamente proprietari e fiscali -  ha impedito che il tracollo elettorale del centro destra fosse totale, pur perdendo oltre il 16% dei voti. Un capolavoro tattico, accresciuto dallo stallo tripolare consegnatoci dal porcellum e dall’impetuoso avanzare del M5S, ma al tempo stesso un non senso strategico, di fronte a una crisi che non ammette altre soluzioni se non di  affiancare alla radicale riduzione dei costi della politica e della burocrazia statale e locale  una redistribuzione della ricchezza parassitaria accumulatasi in oltre un ventennio e una permanente lotta all’evasione. Il blocco sociale e politico che sostiene le ultime barricate del Cavaliere, questo lo sa perfettamente: cerca di rinviare il dimagrimento obbligatorio sostenendo un signore che non ha visione strategica ma solo ossessioni personali giudiziarie e, anagraficamente, poco tempo a disposizione. Questo centrodestra è ingessato dall’origine monocratica e personalistica del suo apparato politico: trova dunque grandi motivazioni nel primum vivere ma una incredibile incorenza pratica nell’azione riformatrice liberale che ha promesso e di cui il paese aveva ed ha un urgente bisogno. L’occasione che l’inettitudine e la sordità del gruppo dirigente del PD gli ha consegnato  è servita a Silvio Berlusconi per una boccata di ossigeno. sicchè l’obbligato governo delle larghe intese non sembra destinato a darci rapidamente quello che serve per un “bipolarismo gentile” dell’alternanza e con una legge elettorale semplice e chiara come quella che ha appena governato la recente tornata amministrativa. Il “problema Berlusconi” con le sue esigenze giudiziarie resta intatto. L’innovazione e la governabilità del paese non possono aspettarsi da quel lato nessuna disposizione benevola alla sintesi.  Il voto amministrativo, con la dimostrazione dell’inservibilità dei sondaggi nel perdurare di una astensione e una aleatorietà  molto alta nei comportamenti, ha incrinato i cori ottimistici sulla ripresa del centrodestra, concedendo al governo Letta un clima politico più sereno e meno nevrotico.

E vengo al PD. Paradossalmente le carte migliori, per un’altra Italia, finalmente sburocratizzata, ammodernata, innovata nella Costituzione e nella forma della governance, ce le ha il PD. Proprio quel partito depresso, che ha consumato l’autodafè di un gruppo dirigente che dalla sua tradizione, non avendo più visione, ha ereditato solo le parte oscura  della conservazione di se stesso. La forza del nuovo PD è la presenza in campo, contemporaneamente al persistere degli zombie,  di una leadership reale, dinamica, appassionante, che aggrega, ed è potenzialmente maggioritaria. L’ultimo voto sta a dimostrarlo con una costanza, dal 2011, che solo la protervia di politici incapaci o resi ciechi da ideologie obsolete, riesce a non vedere.

Debora Serracchiani ha ironicamente chiosato il risultato sostenendo che si vince nonostante i problemi del PD. Molto di vero c’è in questo paradosso e bisogna farci i conti al congresso:  il PD è dentro il  popolo italiano.  Plurale, radicato, meticcio, costituzionale, solidaristico, pragmaticamente laico e legalitario; amministra da sempre migliaia di comuni grandi e piccoli: non ha nei suoi elettori, come aveva intuito il Lingotto, la rigidità e i difetti delle nomenclature originarie. La stragrande maggioranza di questo elettorato, pur segnato pesantemente dall’insulto di una nomenclatura incapace - che ha prodotto, è bene non dimenticarlo,  un’ulteriore fuga verso l’astensione di quattro/cinquecentomila elettori delle politiche - ha creduto al governo del proprio territorio, ha votato i suoi rappresentanti.

Quale PD deve sopravvivere o rivivere?

- Un PD senza soldi pubblici intanto. E, badate bene, è veramente una rivoluzione che cambia completamente il rapporto tra i cittadini che decidono di aderirvi sulla base di una scelta del campo di valori laici, costituzionali, di libertà e solidarietà e di selezione meritocratica  della rappresentanza. La fine dei tesorieri centrali e correntizi e l’avvento della trasparenza totale delle contribuzioni militanti e private cambiano  radicalmente la natura di un partito. Il denaro rende disuguali le persone e i progetti. Non la meno troppo lunga su questo aspetto: la cronaca degli ultimi venti anni è ricca di esempi di disinvolto e illegale uso del denaro pubblico per alimentare le proprie personali prospettive di carriera politica. Dopo Greganti e Citaristi è finita  la stagione dei fundraiser di partito ed è dilagata quella  dei conti personali.

- Un PD centro studi che selezioni i progetti, le donne e gli  uomini migliori e competenti,  per l’amministrazione della cosa pubblica  sottoponendoli costantemente al vaglio dei suoi riferimenti sociali.

.- Un PD che promuova  la selezione di una classe dirigente nel tempo misurabile per dare prova di sé nell’azione di governo locale e nazionale, con un limite rigoroso dei mandati.

- Un PD che separi nettamente le responsabilità di partito da quelle istituzionali scegliendo con primarie aperte a tutti i cittadini la premiership.

- Un PD organizzato in tutte le forme varie e possibili che una comunità del XXI secolo riesce a   
   pensare

- Un PD che, nell’immediato, si faccia dunque vigoroso portatore del rinnovamento della Costituzione per un presidenzialismo alla francese che assicuri la governabilità essenziale
      per le sfide continentali.

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