Anch'io come tutti
Anch’io come tutti
aspetto un treno
festoso e veloce
e soste in paesi
senza calendari.
Anch’io come tutti
incrocio viandanti
che s’accendono
prima di sparire.
Inghiottiti
dalle ore sempre uguali
della quadriglia di stagioni
che tracciano spirali
verso il nulla.
Anch’io come tutti
rallento a un trivio
a una fermata d’autobus
davanti a una porta.
Cercando occhi
che compiano il miracolo
della cesura
nello spazio curvo
di un viaggio di solandata.
Cerco la malinconia visionaria
di quelli come me berberi
amazigh dei deserti
che non hanno idoli.
Non vestono la vita
di abiti firmati
non innalzano depositi
di cose morte
illuminate dal prezzo.
Né s’affidano a un numero
che gli tenga il conto
degli agnelli uccisi
del sale trafugato
del lavoro rubato
per dichiararsi diversi.
Quando mi accade di trovarla
vivo l’identica follia
e la fisso negli occhi
dei cavalli celesti
akhal-teké perennemente in corsa.
Mangio con le mani
frumento impastato di latte
srotolo il tappeto sulle sabbie rosse
lontano dalle rotte dei finti nomadi.
Orione mi guarda
mentre mi fondo nell’ambra
di occhi accesi tra veli azzurri.
A Eluana, a Welby
Nasciamo per caso.
Per caso viviamo.
Lotta perenne
tra pericoli alieni
e umani assassini.
Solo alla donna e all’uomo
bellissimi
che si fusero
dobbiamo la vita.
Forza incancellabile
che anima il nulla
e lo guida a comporsi.
La vita e la morte
nelle nostre mani.
Così era all’inizio.
Le follie della mente
e il possesso
vennero a evocare idoli
assetati di sangue.
Si sono presi l’innocenza
e il potere della morte.
Con la corda, il lampo, la lama
e il veleno.
La dolce morte
non possono togliercela.
Ma non desistono
le jene cannibali
profumate d’incenso.
Alimentano
la falsa coscienza
per negarci la scelta.
Donne nissene
Nella valle sicana
alla luce degli alti fuochi
accesi
ad avvistare gli Achei
si fusero
il popolo amazigh e quello elimo.
Nacquero
in quelle notti vermiglie
donne fatte d’amore.
Occhi cangianti
dal nero al verde
crateri del mistero
e solchi profumati e trepidi
a prolungare la vita.
Piedi pulsanti di danza
lombi implacabili
in percussioni ritmiche
respiro del tempo
che non ha confini.
Viaggiatore di meridiani
non hai misura del tuo valore
né della follia
se donne nissene
non ti hanno aperto la tenda.
Tra l’oro del grano
e il nero del vino.
Umano Non umano
E’ la coerenza il valore che manca
alla tua stremata filosofia politica.
Non puoi chiedermi di rinnovarti deleghe.
Tradito mi astengo.
Afono
tra la gioia antropofaga dei barbari
giunti dopo tanta attesa.
Affilo nell’ombra la lama di ossidiana.
Per affondarla nel petto
di chi non è più umano
e dilaga saprofita
a sud dell’Insubria.
Libero dalla paura
mi è compagna la Ragione
che protegge i superstiti
memori della Legge.
La povertà
Abbiamo smesso di apprendere.
Ora siamo poeti
che consumano farmaci
in rima baciata.
Con adrenalina.
Guardiamo
accumulando senza intenzione
in rima baciata.
Con emozione.
Compriamo bellezza
per venderci.
Senza la rabbia di Spartaco.
Casualmente
Quando si nasce
cessa la simbiosi.
E’ un colpo di frusta
l’aria che aspiriamo
per vivere.
La prima volta soli.
Resta per sempre la nostalgia
di quell’amore confuso e liquido
assoluto custode della diversità.
Niente di simile ci sarà mai dato
nella fatica di ogni respiro:
solo lampi di smemoramento
quando i corpi mimano
la creazione.
Lungo le infinite vie
ogni istante mutevoli
può accadere di scoprirsi
riflessi
nello sguardo dell’altro.
Casualmente.
Ricorderemo il primo respiro
e arretreremo
scoprendoci nudi.
Poi le dita si muoveranno da sole
sciogliendo i nodi
che frenano il volo.
Il grido
La carezza affondò nella carne viva
e le labbra si aprirono
sui bianchi denti affilati.
liberando il grido.
Bianca di un plenilunio invernale
la gola si tese
e raccolse i brividi
racchiusi nell’anima.
Valli aperte e vicoli contorti,
campanili e leoni di bronzo,
piazze di porfido e tetti di ardesia,
ville patrizie e capanni di lago,
cespugli d’erica e puntuti abeti
ascoltarono e rimbalzarono gli echi.
Fino alle Grigne
smemorate di mare
e ai rostri pietrosi dei Tre Signori
il grido della lupa raggelò i cuori.
Poi fu il silenzio.
Le membra intrecciate
si sciolsero nei colori della notte.
Gli occhi
bruciavano implacabili.
Caribe
Siamo seduti
sulle sedie lunghe
a guardar l’occidente
rosso di vapori
In attesa.
Con la risacca
allo sparir del sole
tornano i pensieri delusi
scagliati oltre l’orizzonte.
Il patio screpolato dal sale
si piega
sotto i tuoi passi nudi.
Gli ultimi raggi obliqui
ti scaldano le caviglie dorate
muovendole alla danza
tra il ciottolar dei paguri.
Apparenze
Aveva cuore e ali di drago
eppure mai aveva amato
e mai volato.
Valicò limiti
a lei ignoti
senza che i piedi
movessero a danza.
Immobile.
Guardò la spada
affondare nel ghiaccio.
Vibrò solo l'elsa
al vento gelido di tramontana.
Aneliti
Aneli
occhi testimoni
della tua natura intatta
e trasalisci
a ogni sguardo.
Ti portano
le ore lunghe della notte
la speranza improvvisa
dell’avvento
e corri incontro a folate
che si placano all’alba.
Essenza
Corrono
leggeri i tuoi polpastrelli,
ali di farfalle dorate,
a fermare gli attimi
della tua purezza.
Il tempo trasmuta i volti
che pensavi amanti
e interrompe le notti
privandole d’oblio
in attesa dell’alba.
L’ultimo brivido
ti consegna intatto
il mistero della tua natura
determinata a vivere.
Avventi
Avventi
di epifanie inattese
oscurano soli
remoti e stanchi.
Ormeggiano nel porto
i battelli
leggeri dai lunghi scafi.
Tentano le vele
umide e salate
orzate improvvise
senza attenzione.
Ora in attesa che il maestrale
lanci la prua
cantano i corpi.
Obliqui.
Dove mi stai portando?
Dove mi stai portando?
Piano, piano
con parole leggere
e alate lusinghe?
Non lo so.
Non voglio saperlo.
Mi fermerò.
Quando non mi sentirò più al sicuro.
Di fronte a te
specchio ricomposto
rifletto le mille tue fisionomie.
Sono i tuoi passi
che tracciano il cammino.
Implacata
ti dirigi dove i sogni
si smemorano.
Insicuro è il desiderio
che muta e si riaccende
sotto la pelle arsa.
Ignota e volubile misura
che non hai mai sfidato.
Dentro di te é il mistero.
Gli occhi che vi si posano
accettano le tue sentenze.
Irrevocabili.
Le due amiche
Cristallo trasparente e fragile
l’una
cattura il cielo e i suoi mutevoli colori.
Polpa di pomodoro rosso
l’altra
calda di sole e di terra bruciata.
Intrecciano riso e parole
e sguardi corrucciati e impavidi.
Tendono archi d’amazzoni
scagliando frecce
oltre l’orizzonte.
La conchiglia
Baby Jane
ricordi?
Scopristi il mare.
Ti venne incontro
la prima volta
e correvi
parallela alla riva.
I pieni nudi
lievi e veloci
a sfidare le onde
che cancellavano i passi
della tua danza adolescente.
Senza arrestare la corsa
ti piegasti
e la tua piccola mano
racchiuse una conchiglia.
Il vento
con le sue dita salate
ti accarezzava i capelli.
S/legati
Non leggo mai
la delusione nei tuoi occhi
di miele.
Mai ho fatto promesse.
né tu le hai cercate.
Eppure non cesso
di ascoltare
i tuoi canti improvvisi
e i silenzi.
Amo i secondi
più delle armonie.
Mi annunciano
che posso perderti.
e sogni
che mi farai conoscere.
Gli sguardi
Ora le parole
non hanno più senso.
Monete fuori corso
prive di grammatica
e di sintassi.
Un deserto di sinonimi.
Casuali.
Restano gli sguardi..
Solo quelli dell’alba
quando la luce ferisce gli occhi
che la notte ha smarrito.
L'errore
Equilibrista
sospesa sul filo.
Senza rete.
Illusionista
altro non sei
Consapevole.
Attiri l’attenzione
sulla mano che non fa trucchi
per lasciare invisibile
quello che hai concesso
ad occhi pavidi.
Scoprendo
che non vedevano.
Spaesamento
Ho volato stanotte
su superfici lunari
increspate di chiaroscuri.
Brividi di luce
addensata
hanno catturato il mio sguardo
Paesaggi alternati
concavi e convessi
intatti di rugiade siderali.
Solcati dai respiri roventi
di lave invisibili
emerse da socchiusi crateri.
Ondeggiavano gli orizzonti
di vapori cremisi
anelanti il cielo.
I tuoi occhi
I tuoi occhi.
Quante cose vedono.
Quante ne ravvivano
e quante raggelano.
I tuoi occhi.
Così confusi con la tua essenza.
Le mie parole nascono
là dove ti guardo
senza scampo e senza merito
e mi abbandonano.
Parole di creta.
Alitate a vivere
da te
Impastate nella tua sostanza
Non mi appartengono più.
Tue.
Sempre mi restano care.
Fiaccole luminose
nate per accendere
lo spazio che ci separa.
All'improvviso
Venne improvviso
come un brivido dell’anima
e ti tolse il futuro.
Tu sola capisti quel gesto
che ai molti incuteva terrore.
Ti restituiva il presente
la carezza della mano
sul collo reclinato.
Come i veli delle tue notti
cadevano
senza rumore
le attese inquiete delle albe infinite.
Un solo grido
senza principio e senza fine
ruppe l’anello e il velo.
Ventiquattresima ora
Caddero le vesti
ai piedi
come la nebbia che fugge il sole.
Lo splendore bianco della pelle
riverberò
ferendomi gli occhi.
Tra il rosso e il nero
fui perduto una notte intera.
La Verità
La verità
celata agli sguardi perduti
della vanità
non si nascose a lungo
e braccata si arrese.
Semplice nella sua nudità
si aggirava
tra labirinti di specchi
orbite vuote di pupille
incerte.
Contagiata dalla viltà
si dibatteva
tra i veli neri
delle passioni annunciate.
Indomita.
Tamburi lontani
e cembali d’argento
annunciavano sfide
sotto le mura
per una dea precipitata
e immemore
Stupore
Hai fermato l’attimo,
carezza lieve delle tue dita
gesto divino della creazione
e lo hai reso eterno.
Torno dove sono nato
e mi riconosci.
Identici i tuoi movimenti.
Simile a tanti altri
il rosario del tuo piacere.
Lo esaudisci per terminarlo.
Apre e chiude destini
la tua pelle di seta.
Come sempre.
Dentro i tuoi pensieri nascenti
stanze finora serrate
scopri di avermi invitato.
L’esilio
Ci sono immagini che hanno artigli.
Se ne vanno portandosi l’anima.
Le guardi
e gli artigli si chiudono
strappandoti il senno.
Da quel momento
non hai più patria
non hai più casa
non hai più giaciglio.
La tua patria
la tua casa
il tuo giaciglio
sono là
dove gli artigli spiccarono il volo.
Ti aggiri accecato.
Le membra scosse
e la mente confusa
hanno memoria della Medusa
che si é lasciata guardare.
Fissando i canoni
della tua nuova estetica.
Sintassi
Può un segno
mostrarsi più forte del tatto?
La vista decidere un destino?
E le parole inventate
al buio insonne di notti solitarie
hanno il potere di procurare evasioni?
Il verso abbatte prigioni antiche
vigilate da noi stessi?
Credo che il segno
scelga di affiorare
quando gli occhi entrano dentro.
Senza indugiare sulla superficie.
La mente accoglie
tra le pareti impervie
carezze di suoni dimenticati
ascoltati alla nascita.
Dentro gli sguardi confusi
si formano le frasi
componendo parole
pronunciate in sequenza.
Pensieri complementari
come il volo di mille storni
che disegnano i loro sogni
nei cieli d’autunno.
La lupa
Sta accovacciata in brughiera
una lupa
con gli occhi accesi
divaricata sui talloni
L’avvolge l’erba della Madre Terra
riconoscente
l’antico gesto dell’appartarsi
sola
a sgravare la vita.
Non amò altro che il seme.
Lo ha custodito
e alimentato di sé
e della sua memoria.
S’alza il vento.
Risuona il mirto
a coprire il vagito
e l’amore assoluto
che rinnova il mistero.
Compie l’arco
la luna
coperta dal suo velo
tra ululati impotenti
Equivoco
Ho letto segni
che io solo ho scorto
affiorati improvvisi
a ferirmi lo sguardo.
Mi erano giunti
solo per gli occhi
da uno spazio altro
per indicarmi un mistero.
Incaute le mie dita
li hanno sfiorati
dissolvendo il disegno.
La luce dentro
Ci sono corpi
che lo spazio divorano
annientandolo.
Altri che la luce
sottraggono
e altri trasparenti
che non hanno mistero.
IL tuo corpo
no.
Il tuo separa l’aria.
Occupa
ogni dimensione.
Alita energia
dissolvendo la notte.
Solo il pittore nato in Oriente
tra le rive del Fiume Giallo
saprebbe ritrarti.
Lui non si cura del riflesso del Sole.
Gli insegnarono a dipingere
la luce dentro.
Lui, si, saprebbe farlo
se avesse i miei occhi.
A volte accade
A volte accade.
Nel tempo che intercorre
tra un battito di ali a l’altro
di una farfalla
si apre improvvisa una discontinuità
nell’opaca materia che ci avvolge
e lo stupore incantato
del riconoscersi
ricongiunge passato e futuro
nell’attimo presente.
A volte accade.
La vertigine ignota
della porta che taglia
senza sfumature
la luce e l’ombra
é insostenibile
per l’animo
come per i polmoni
il puro ossigeno.
A volte accade.
Le parole che abbiamo sognato di pronunciare
perfette come i loro concetti
muoiono nella gola.
Subito dopo
resta
il fantasma malinconico
di ciò che poteva essere.
Luna saracena
Il tuo piacere è il mio
e non temo la tua follia.
Artigiano fedele
coloro lino del Nilo
di oro e guado.
Ne faccio tuniche
silenti testimoni
di rapiti languori
e di furori improvvisi
che non lasciano traccia
nella tua memoria..
Sfiorano le dita
le impronte ardenti
della tua pelle
profumata di mirra
sui fili intrecciati
da telai fenici.
Distesa
placa la tua arsura
un sonno privo di trasalimenti.
Quando finalmente
il tuo sguardo innocente
si volge alla falce di luna
che inargenta le dune
con Venere compagna
raccolgo i mitili
e tingo di porpora
la veste che lascerai cadere
nella mia tenda.
Tra candele di cera d’api
e fumi d’incenso.
Risveglio
Quando nella notte sciogli con le vesti
i lacci annodati del tuo desiderio
e nuovo é il canto che dalla tua gola risuona
si accendono le stelle della tua nascita.
Si illuminano i tragitti paralleli
alle rotte che hai disegnato
al tuo destino
troppo a lungo ignorati.
Intrepida e solitaria
immemore della tua natura.
Timoniere della tua vela
hai soffocato il grido
al canto di sirene inascoltate.
Il corpo hai legato
per riparare in porti che sognavi tranquilli.
Ora che i tuoi occhi
finalmente accesi
scolorando
ai miei si fondono inesausti
accogli senza pena il pianto.
Angelo inaspettato del tuo trionfo.
Duende
Nessuna delle parole coniate per te
é andata perduta.
Né i colori sono rimasti senza sguardo
né i suoni senza ascolto.
Consegnati agli occhi di tutti
vivono per sempre.
Duende di cuori zingari
declinano
nella febbre di notti insonni
lo stupore di epifanie inattese.
Non erano reti intrecciate
a trattenerti.
Solo i frammenti
dei tuo specchio frantumato
che in un giorno pigro di luglio
la mano esperta e paziente
di un antico viaggiatore
provò a ricomporre.
Scoprì
tra l’incanto di superfici scosse
che non era il solo a volerlo.
Oltre
Ho promesso di non muovermi
e mi hai bendato fino alla bocca
e gli orecchi mi hai riempito
di tenera cera d’api.
Solo la tua pelle
ha conosciuto la mia.
Mi sono liberato della cera
e ho ascoltato
il movimento e il respiro
i piedi scalzi sul marmo.
La bocca mi hai scoperto
per colarvi gocce
calde di miele
e cristalli luminosi.
Gli occhi infine mi hai aperto
e ti ho vista
vestita di luce
con pupille d’ambra.
Poi ti movesti
e annullasti lo spazio
riunendo i sensi
che avevi esaltato.
Odissea
Ben tornata
o meglio
ritrovata.
E’ stato un bel viaggio.
La prima volta sola
su argille morbide e crete colorate
di paesaggi magici.
Guardi i tuoi figli.
Li osservi
tenera e amante.
Scruti sui volti le tracce del tempo
i segni dei ricordi
la loro autonomia.
Scopri il calore di un lavoro ben fatto.
Il vento di ponente
carezza salmastra dell’adolescenza
ti reca il profumo
delle traiettorie sognate
e abbandonate.
Gli altari vuoti
il lessico complice
dei pleniluni.
Fieramente altera
mostri la tua fronte
arco di luce.
Talvolta ferita
sempre rinata
nel desiderio implacabile
di un profumo ignoto.
Adagiata sul fianco
sola
nell'attesa notturna
di carezze senza tregua
immaginate di natura aliena
finalmente a te uguale.
I movimenti naturali della vita
non ti giungono inaspettati
con il loro sapore di sangue.
Scuoti il tuo scudo
e ti arrendi al sogno
smemorandoti.
Rinnovata e ardente
per la prossima luna.
Renovatio
L’urlo scese dalla torre di guardia
verso le spiagge e sui campi
Avvertimento di maree incontenibili
pietoso e furente
spingeva al riparo il marinaio
che al porto aveva affidato l’ancora
La curva gonfia del mare s’inarcò al cielo
travolgendo terre emerse
ingannate
dai giorni di acque immote
Si aprirono
abissi apparsi placati
da laboriose attenzioni
e argini innalzati da schiene curve
ardenti di fatica
Cielo e acqua si sciolsero l’uno nell’altro
E fu riempito il vuoto
Sai cosa attendo
Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro
Guardare il cielo della tua luna
refrigerio delle pupille
arse
dai paesaggi contratti
e dai cerchi infuocati
del solleone
Léggere le lettere
del tuo alfabeto alieno
che tardano ad apparire
mantenute al riparo
di nebbie artificiose
suscitate a difesa
di una vita
che non sopporta
la mia follia
Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro
Incolpevole
hai lasciato che i tuoi segni
mi rubassero gli occhi
Ora percorro sentieri
senza bussole
ignote geometrie
e labirinti senza filo
che concedono lente avanzate
Mi nutro di grani di luce
che bruciano i sensi stralunati
Visioni di palpiti
che tu disegnavi
e io non credevo esistessero
Sai
cosa attendo
trattenendo il respiro
Nascono
dai giorni sempre uguali
oscillazioni pavide
nemiche dei sogni
che ti fanno bella
La paura del barbaro
inaridisce i pozzi
e frantuma le onde
in superfici piatte.
Notti senza vita
illuminate
da bagliori altrui.
Libera
China
bocca socchiusa
in lampi d'alabastro
sulla gola che ti si offriva intrepida
Predatrice curva
a calarti
padrona ondulatoria
nuvola nera di capelli.
Preda arrovesciata
inarcata e trafitta
e scossa
in percussioni profonde
Labbra implacabili
travasavano vita
ad ogni congiunzione
senza che un respiro
andasse perduto.
Implorandone ancora
dalle profondità incediate
estroflesse
da fusi trionfi.
Ti sollevavi
incoronata regina
e ti slegavi
e reclamavi il piacere
dei miei sguardi incantati
sulla tua danza.
Abbracciato a te
finalmente esausto
testa reclinata e cieca
sulla tua spalla d’ambra
non vedevo i tuoi occhi.
Aperti oltre la stanza.
10 Agosto
S’accende meno
Il cielo di San Lorenzo
Sono ormai asciutti
gli occhi della compassione.
Danzano senza speranza
i desideri del viandante
I suoi occhi
in attesa
tra i Carri e il Cigno
cercano improvvisi incendi
tardi ad apparire
L’alba saluta i passi
lenti
verso occidente
nel sogno della prossima notte
Amore
A uno a uno caddero i guardiani
E gli arcieri deposero gli archi
Si sciolsero come neve allo zenith
le gelide geometrie dei pensieri
obbligati a rispondere
Il desiderio cessò
di apparire uguale
agli infiniti desideri di ogni giorno
E si mostrò
Era lo stesso che spingeva
la Grande Tartaruga alla riva
a perpetuare il Ciclo
Non restava al suo corpo
altra libertà
che dare la vita dentro di lei
prescelta
La fecondazione
lo rese unico
strappandolo alla moltitudine
La ragione sorrise
Confusa.
Le ore del silenzio
Nascono
nella terra di nessuno
i desideri che non concedono tregua
Non li spengono
piaceri sfibrati e passi di danza
eseguiti a memoria
Fuochi fatui
di ore sempre uguali
che non ci appartengono.
Ama l’ignoto la mente
e confonde il corpo
concedendolo al presente
invocando rese irreversibili
Gli occhi
fosforescenti
al grido appena consumato
inseguono
nuovi arabeschi
disegnati nelle ore del silenzio
Non ci soccorrono
le maschere indossate
e i nostri giorni perduti
Né i baci rubati
o le carezze esperte
deserte di mistero
Quando gli occhi
in un solo attimo
ci concedono l’infinito
e le dita tese
non fermano il Tempo
17 Agosto
Si coprì la Luna
per il pudore
Aveva permesso al pastore
di scrutare i pleniluni erratici
e immaginare amori disumani
tra dei ed eroi
Identica sempre
non aveva misteri da svelare
oltre la superficie d’argento.
Dopo l’eclisse riapparve
rossa di vapori
che non le appartenevano
I colori della vita nascevano
dentro lo sguardo innamorato
di occhi umani imperfetti
A lei restavano le traiettorie
sempre uguali e monotone.
Fissate dalle sue fasi
prive di compassione.
Nova
Da un cielo
improvvisamente indaco
cadde pioggia di stelle
ardente
sui corpi intrecciati al tramonto
Bruciavano le carni
dissolvendosi in costellazioni
senza nome
nuove ai pastori
immobili sul deserto orizzonte
Ascoltami
Ascoltami
quando sull’onda di risacca
recido i nodi
legati alle caviglie
Guardami
mentre mi calo
incontro al desiderio
gridando la mia gioia.
Apri
la conchiglia delle tue braccia
respirando l’alito
dalle labbra socchiuse
e placa la mia danza
All’alba
riconoscente
leggerò nei tuoi occhi
l’amore divino
che ti ha liberata
La settima nota
Nelle geometrie del tuo spazio
mostri i segni e le cifre
di un mistero irrisolto
Mi dai e mi togli le parole
quando ti mostri
accorciando il respiro
L’angolo aperto
irradiante al centro
ruota sull’asse
invocando il cerchio
tra gli ardenti volumi
Sul piano inarcato e verticale
segnano i denti
rossi tratteggi
e fasci di parallele
la penna affilata delle dita
La percussione
onda frangente
impegna le tue corde
fragili e tese
cercando il si
che recherà il silenzio
Mare nostrum
Sale dal vicolo
la musica dolce
di una pianola a cilindri
Il vecchio la muove
sognando
e ignora dove gli aghi
attingano le note
La mia pelle no
Ad ogni giro
rammenta la partitura
segnata sul tuo corpo
L’eco rimbalza
tra le bianche case
degradanti al mare
e insegue la tua corsa
libera e ridente
Quando alla riva
s’arrestano i tuoi passi
tace l’ultimo accordo
fra gli assorti gabbiani
Ogni notte
Ogni notte
veglio sui tuoi sogni
amore mio riconosciuto
per risarcirmi del tempo
che non ho trascorso
vivendoti
Conto i respiri senza affanno
e leggo le palpebre mosse
dai desideri nascosti
nei tuoi giorni lenti
liberi
al salir della luna
Non ho chiesto permessi
né preteso certezze
Mi affido
al piacere degli occhi
Instancabili
A Josefa Idem
Valchiria rapita
da un amore italiano
scivoli silenziosa e veloce
su specchi d’acqua
incantati al tuo passo
Piega il tempo
il mulino armonioso
delle tue braccia
Madre guerriera
sempre prima alla meta
per occhi di giudici umani
L'adolescenza di Venere
Splendono
sotto riccioli neri
occhi di fuso acciaio
a sovrastare denti carnivori
incorniciati di morbido carminio
Il respiro corto solleva
seni impetuosi
centrati di viole
e il ventre convesso
ignaro di carezze
Impudenti
e rotondi glutei d'alabastro
serrano invano
il nero selvaggio
del vello inanellato
Il passo risoluto
delle bianche gambe tornite
fende l'aria calda
e ferisce lo sguardo
al grido stupito dei gabbiani
Canto andaluso
Tre volte
le tue dita si mossero
ad aprire la porta del Tempio
Tre volte
i tuoi occhi s’accesero
a fermare il Tempo sulla soglia
Tre volte
sfiorai la tua essenza
smemorandomi di ogni passato
Ora che tutto
si è compiuto
resta nei miei occhi accecati
il desiderio implacabile
della tua luce
Shimun
Improvvise
le fiamme arsero
al soffiò dello Shimun.
Lingue di fuoco
guizzavano
a bruciare simulacri
Una notte intera
la salamandra d’oro
ballò
nel suo elemento naturale
consumando
una delle mille vite
All’alba
il cielo pietoso
si sciolse in pioggia
a spegnere il rogo
Il dono
Esegui
a memoria
tra pareti chiuse
gesti lenti
senza fremiti
Fluttuano
suoni insensati
vuoti a perdere
per la tua mente
distratta
dalla nuova attesa
Percorrono
la tua pelle
i brividi di un canto libero
che credevi inascoltato
e sepolto
consegnato ai pleniluni
Sale
la tua risata
dalla gola.
Lapilli ardenti
improvvisi
di un sopito vulcano
Rimbalza
sulla chiostra alabastrina
di denti affilati
tra labbra innocenti
piegate a cuore
e accoglie l’avvento
Occhi teneramente obliqui
si aprono
sulle languide membra
e sui misteri
inesplorati e vergini
che sguardi pavidi
e polsi imbelli
non hanno mai misurato
La notte degli avventi
Rallenta la sua corsa il sole
e ci annuncia la notte più lunga
popolata di avventi.
Al dimorar del Carro
nacquero gli dei delle nostre paure
Antropomorfi nelle terre degli ulivi
serpenti piumati nel Tropico
guardiani senza carne
tra le rive d’Eufrate
e polimani sul Gange fangoso
S’infrange
l’invidia dei ventriloqui
sui corpi intrecciati
che non temono il buio
Nasce e rinasce la vita
dal seme caduto nel solco
e s’affinano
lungo le spirali della Storia
occhi temerari
che sondano gli abissi
e liberano le menti dalla paura
L’aquilone
Vuoi afferrarti all’aquilone?
Avanti c’è posto anche per te
Ma devi essere leggera
senza bagagli
Lasciali a terra
quelli dei viaggi consumati
lungo meridiani e paralleli
che ti hanno ricondotta
all’identico luogo
dove il vino
non possiede più
fermenti vivi
Né la birra né il latte
né i tuoi umori
modificati dal bisabololo
Ti mancheranno gli specchi
per rimirarti
ma niente ti darà la pace
del vento sul viso
Volando in alto
appesa al filo
Vuoi afferrarti all’aquilone?
Ventuno grammi
ti sono consentiti
Quanto pesano la tua memoria
e i sogni e i desideri
le passioni e i dolori
il dolce e l’amaro
le sconfitte e i trionfi
Il guardiano fanciullo
non baderà
alle tue vesti ricamate
all’oro e all’argento
delle dita inanellate
Né conosce canoni
per la bellezza delle superfici
e il lustro dei casati
Guarderà l’iride
e lascerà passare
solo occhi profondi e trasparenti
che si concedono nudi
senza richieste
Fado
Quando mi concedi
in questi giorni d’autunno
cangianti di colore
di visitare il tuo mistero
mi perdo e mi confondo
Procedi come un fado
al ritmo lento di una viola
e il respiro s’accorcia
su chiaroscuri convessi
che annunciano il delirio
Le ore del dovere
profumano d’anice
la tua pelle di seta
e di malinconia
i tuoi occhi silenti
Ora é nei miei occhi
testimoni insonni
del tuo furore
che misuri le vite
che disegni nei sogni
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