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giovedì 6 settembre 2012

Non è sufficiente scegliere buoni candidati: occorre un programma chiaro di riforme istituzionali


La discussione sui limiti delle donne e degli uomini nuovi che si propongono per governare il paese è francamente piena di luoghi comuni, sopravvalutazioni mitologiche dello stato e della sua complessità, conservatorismi, confusione sulle caratteristiche preminenti  che deve possedere un primo ministro. Certo, in Italia più che altrove, ci sono specificità della sua costituzione materiale, che impongono ad ogni governante di conoscere bene almeno la storia del paese.

C’è una sovranità limitata, codificata con un vero e proprio trattato - i Patti lateranensi -  riscontrabile, per qualche verso, solo nelle repubbliche islamiche, in quanto a ingerenze, pregiudizi ideologici, pretese etiche. Questa specificità   richiede al politico laico una grande autonomia culturale, un forte senso dell’equilibrio e dello stato, una visione dei grandi processi conoscitivi da consolidare senza fughe in avanti..

C’è una criminalità organizzata con un governo della violenza e della finanza antico, diffuso territorialmente e molto evoluto, che determina distorsioni economiche gravi,influenze politiche sotterranee, tensione permanente dei corpi dello stato che devono intendere, prevenire, reprimere, spesso in solitudine e orientati dal valore preminente della res publica - come accade all’Arma dei Carabinieri, che ha fatto di questa fedeltà una ideologia -  e che reclamano premier trasparenti, non ricattabili, incensurati.

C’è una burocrazia amministrativa tra le più pletoriche, dispendiose e dense di attrito decisionale che non è più in sintonia con una visione politica nazionale , sia pure di parte:  gestisce autonomamente i suoi privilegi, è al centro, ancor più dei partiti, di un sistema opaco e spesso corrotto di accaparramento delle risorse pubbliche. E questo richiede un politico che abbia almeno una qualche esperienza amministrativa sul campo.

C’è un sistema industriale atipico, costruito su grandi  punte eccellenti, correlato a un indotto diffuso, creativo, ma di ridotte dimensioni e  spesso border line nel rispetto dei diritti dei lavoratori e  dell’obbedienza fiscale. Un sistema costruito dall’intervento statale e da una intelligenza programmatica consociativa che si è via via perduta con il modificarsi degli equilibri mondiali e le mancate risposte alle nuove sfide. Mancate risposte in termini di investimenti in ricerca, innovazione, ammodernamento tecnologico. All’ombra di questo sistema si è consolidata una borghesia parassitaria, sempre protezionista, che della fase della economia globalizzata ha saputo cogliere solo le occasioni predatorie del risparmio nazionale, mettendo, con la complicità dei partiti, le mani sul controllo dei servizi e delle banche. Un tale dato strutturale richiede una conoscenza dei meccanismi economici fondamentali, un pragmatismo sperimentatore e innovatore.

Poi c’è la crisi mondiale:  è così estesa, profonda e così carica di novità  che rende inesplicabili alcuni fenomeni e  inutilizzabili le vecchie ricette sul ciclo; il dato certo è che  impone una dimensione geografica e politica enormemente più grande di quella nazionale. La parola chiave per noi diventano gli Stati unisti d’Europa. Il politico adeguato deve essere non solo un europeista convinto ma culturalmente un cittadino europeo.

In questo contesto misuriamo dunque protagonisti, candidati vecchi e nuovi. Stando alle regole del buon senso comune dovremmo scartare quanti hanno dato lunghe e ripetute cattive prove di sé o che addirittura, con la vecchiezza delle loro impostazioni, sembrano più costituire un problema che una soluzione. Personalmente non indulgo al novismo né tantomeno alla mitizzazione delle vecchie volpi: di queste, poi, aborrisco il ghigno che gli ultimi trenta anni gli hanno stampato sul volto. Ci sono numerose donne e numerosi uomini che hanno ben studiato e ben lavorato che si propongono senza ricorrere alle appartenenze ma presentando progetti e idee. Hanno visibilità? Verranno scelti?
Questo mi sembra il tema principale della selezione e in questo senso il ciclone Grillo, la sparigliatura  di Renzi e anche la testardaggine di Bersani sulle primarie anomale sono comunque rotture di argini che possono permettere un fisiologico rinnovamento. Ma, aggiungerei che a questo fine è indispensabile che si formi un raggruppamento che si richiami esplicitamente a Monti e alla Fornero e che guardi a sinistra.

Sapremo scegliere?  Ci incombe questa responsabilità di scelta ma, soprattutto, ci appartiene la possibilità di investire in autorevolezza donne e uomini per un governo. Infatti, se al candidato a guidare il paese richiediamo competenza, cultura storica, onestà, combattività, dobbiamo sapere che  la forza per decidere in modo libero e autonomo, gliela daremo noi. E questa forza è essenziale per governare bene. E qui le cose diventano incerte perché la paura di innovare attanaglia i partiti.

Il problema, infatti, non è se Monti, Fornero, Bersani, Renzi, Alfano, Casini, Grillo hanno qualità e competenze sufficienti e capacità di allestire squadre efficaci  ma  che tipo di potere di governo il nostro assetto istituzionale è in grado di garantire a chi si propone democraticamente per essere scelto. Mario Monti, per fare quello che ha fatto in 10 mesi - e ha fatto tanto – ha goduto di una “riforma istituzionale” eccezionale, quella del fallimento della destra e dell’inadeguatezza della sinistra cristallizzati nel Parlamento attuale, il chè ha permesso a Napolitano, sostenuto dalle cancellerie europee e dagli USA, di nominare il Governo del Presidente.

Ma noi che andremo a votare avremo questa possibilità? Il nostro voto, con queste regole, ci permetterà di dare all’Italia quel governo forte, stabile in grado di prendere decisioni rapide e persino impopolari?

Non mi pare.

E non credo che l’accordo raggiunto da ABC sulla legge elettorale abbia il peso riformatore che ci serve. Allora la prossima legislatura dovrà essere una legislatura costituente, Deve porsi il problema di un assetto istituzionale che coniughi governabilità e rappresentatività. E’ mia personale convinzione che a noi serve il modello francese. Per questa ragione penso sia necessario che la leadership del governo attuale tagli corto con le riserve sullo scendere in campo non più da tecnici ma da politici. Occorre un patto chiaro e manifesto tra Monti e  Bersani per un governo che abbia la fiducia dell’Europa e degli USA  e che adegui rapidamente il proprio assetto istituzionale per le sfide che verranno. 

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