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domenica 30 settembre 2012

23 anni dopo la Bolognina...


Assieme all’astensionismo cresciuto a dismisura,  le principali novità nell’orientamenti degli elettori italiani sono Beppe Grillo e Matteo Renzi. Ma del comico genovese e di come si organizzerà per essere presente alle elezioni di primavera, pare che nessuno sia preoccupato più di tanto. Come se il lavoro di demolizione, fin qui svolto con l’uso sapiente delle nuove tecnologie mediatiche, si fosse esaurito in cumuli di mattoni disgregati a punteggiare la penisola, che esperti in riciclo si preoccuperanno di caricare su camion capienti diversamente e localmente denominati. Probabilmente lo stesso Beppe Grillo si è via via reso conto che senza un apparato “burocratico ed esperto” non è in grado di passare dal movimento all’organizzazione e, soprattutto, di mantenerne una disciplinata  azione collettiva. Certo è che una domanda nuova, in libera uscita, che si aggira tra il 12 e il 18% , sembra destinata, se non si manifesteranno rappresentanti nazionalmente credibili, a ingrossare le file dei populisti più sperimentati e anche quelle della nuova destra estrema.

Matteo Renzi, esploso come fenomeno politico, più tardi del Movimento 5 Stelle, sembra invece far paura a tutto l’establishment politico mediatico di destra, di centro e di sinistra. Ho incluso la destra, perché non debbono ingannare gli endorsement, interessatamente amplificati di personaggi dell’Italia gossippara,  il cui naso, quando non è imbiancato dalla cocaina, ama incipriarsi nel più popolare borotalco. Chi ha ingannato gli italiani a destra, promettendo la rivoluzione liberale, teme strategicamente Matteo Renzi molto di più di Bersani o di Vendola. Nell’immediato si augura piuttosto che il dibattito interno al PD indebolisca quel risultato elettorale vincente che lo stato maggiore ex DS ha ipotizzato estrapolandolo – illusoriamente – dalle elezioni amministrative. Dico illusoriamente, perché non c’è giorno che passi che non sfibri la tenuta democratica delle istituzioni, la credibilità dei partiti come sono stati e sono. Insomma, gli scenari sui quali  ragionano Casini, Bersani, Vendola, Di Pietro, Maroni discendono da  paradigmi che chi frequenta un bar, un mercato, una sala d’attesa di un medico della mutua, sente ormai completamente saltati nelle teste dei propri connazionali. Certo, Casini e Bersani fondano le loro speranze elettorali  sulla tenuta delle  vecchie rispettive chiese, ma il terremoto è stato profondo, ripetuto e gli sciami sismici  persistono su ogni territorio.

Ci sono poi le élite, quelle che, storicamente minoritarie, prefigurano assetti ai quali docilmente, ceti e gruppi sociali dovrebbero con gratitudine, silenziosamente assoggettarsi. Soprattutto oggi che governano e che un fondamentale servizio al paese lo hanno dato dopo il ventennale disastro berlusconiano e l’altrettanta ventennale insipienza politica del fronte opposto. Di questa élite Eugenio Scalari è un leader indiscusso e autorevole. Ed è sceso in campo proprio lui, con inusitata volgarità intellettuale e smisurata superbia per tentare di affogare sul nascere il neonato Matteo Renzi, la sua proposta, il suo programma, di certo sentiti  molto pericolosi per i disegni di chi non vuole che si disturbi una riedizione puramente emergenziale del governo Monti.

Francamente non meno scandalo per questo: mi verrebbe da dire, niente di nuovo sotto il sole: si sa che certe figure da Gran Riserva, vengono tenute al riparo, dagli agoni dei tempi normali,  proprio per le situazioni di grande crisi nell’assetto e nella tenuta politica di un paese. Intervenire per salvare ma senza cambiare. Salvare, nella situazione italiana è già grande merito, ma se non si cambia si ucciderà quel poco che resta del sistema produttivo italiano e soprattutto dopo ottocento anni si inciderà drammaticamente nella tenuta civile e umana della nostra storica specificità, i Comuni.

E dunque il mio rammarico e la mia critica si volgono nei confronti di tutte le figure vecchie e meno vecchie  del riformismo italiano di matrice PCI, soprattutto nei confronti di quelli che spregiativamente, in quella tradizione, venivano indicati come miglioristi. Se, dopo ventitre anni di esperienza dalla Bolognina, non hanno ancora capito che la sfida di Matteo Renzi è la vera sfida liberale e riformista che rompe i vecchi e asfissianti paradigmi e continuano la litania sul massimalismo non vedo cosa altro debba accadere per decidere dove stare. 

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