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martedì 11 maggio 2010

Pause e accelerazioni

Regina di cuori


Quando tra gli ulivi argentati
iniziasti il racconto
dei tuoi viaggi senza mappe
e mi apristi i recinti di giardini
seducenti di profumi,
nuovi e rischiosi
per i miei piedi prudenti,
mi avventurai tra le magie
dei tuoi sogni senza fine
e tra le malinconie dolci
del tuo improvviso tacerti.

Ricordo quando svelasti
lo splendore del tuo corpo
ai miei occhi stupiti
e alle mie dita tremanti,
prive dell’ardire degli anni verdi
ma esperte delle porte da aprire
ai desideri che premevano urgenti,
eruzioni di lava incandescente
che improvvise affioravano
a bruciare la pelle
e mi spaesavano nelle galassie
dove si genera la vita.

Parlare d’amore
a te sacerdotessa di Eros
m’appariva insensata confessione
di polsi deboli a trattenerti
ed occhi incapaci d’assistere
al mistero delle tue passioni,
Furie devastatrici delle mie notti insonni.
Furono i silenzi,
messaggeri intrepidi della tua solitudine,
a liberarmi dalla stolta illusione
di possedere la tua libertà
e a regalarmi la memoria sorridente
dei passi coraggiosi che ti seguirono
.






Eppure...


Eppure
al tremar di una foglia
sfiorata dai primi zefiri
o al risonar di un canto
adolescente al primo amore
si animano gli orizzonti
disegnando la linea curva
di occhi che si consegnano
eternamente smarriti.
Così vicini e così diversi
da quelli che appaiono
nelle tiepide cronache
dei diari stilati
con il cuore altrove.
E così imperiosi
da muovermi la penna
a disegnare filigrane rosse
di parole nuove e misteriose:
formule segrete per luoghi
di baci senza tempo e senza leggi.




Ti ricordi?


Ti ricordi?
La ricerca di parole nostre
e lo stupore di scoprirci uniti
volando mano nella mano
sulle mappe comparse all’improvviso?
Le spiagge, le conchiglie, gli aironi
e i mari disseccati della luna
che ci coglievano chini a disegnare
coppie di passi incrociati
di un tango interminabile e leggero?
Conoscevo di te i lineamenti malinconici
di un volto sottratto a una foto
ingiallita in altri luoghi;
e tu lo stesso di me : poco più di una testa
reclinata a riflettere, inebriata di tabacco.
E la scelta di cancellare il peso dei corpi
e affidarci alla leggerezza dei pensieri
rimasti segreti e ignoti a chi
ogni notte ci giaceva accanto?
E la scoperta di un fuoco
che divampava e bruciava
senza possesso e senza cadute
alimentato dalla vertigine annullatrice
delle nostre anime appena riunite?
È da quella epifania anticipatrice
del nostro futuro di umani imperfetti
che mi aggiro senza più paure
tra i movimenti delle nostre ellissi.






Insonnia


Quando s’allungano le ombre della sera
e compagna ritorna la malinconia
chiedi alla musica di stordirti i sensi
sola e braccata dalle verità implacabili
che la mente ti declama.
Alla luce flebile di profumate candele
ti prepari al sonno: con gesti lenti
lasci cadere i veli e apri la tua stanza
ai pallidi raggi della luna.
T’attendono sogni popolati di giostre
e paladini in armi senza macchia e peccato
per conquistarti il cuore che conservi puro.
Chiedi alle dita di tracciare i segni solitari
che accendono il cielo di fuochi improvvisi
e lentamente ti smemori raccogliendo
le ginocchia unite a sostener la testa.







Libera mente


Senza sfiorarti
ti amo.
E ti respiro senz’alito.
Eppure più calda
di ogni altra pelle
sento la tua,
più dolce e persistente
immagino
il sapore del tuo miele.
E più profondi e luminosi
sono i mari
dove rincorro con te
le strade della luna.

Né prima di te
senza l’umana gravità
ho danzato leggero
tra costellazioni di sorrisi,
fiori cangianti
al lampeggiar degli occhi.
Pensieri ubiqui
più veloci della luce
colmano la distanza
che ci scolpisce
dentro cronache sghembe
e ci regalano
la perfezione di un diapason
che non ha più quiete.

Dolce mi accompagna la fatica
cara alla mente
di scavar parole ed accostarle
per cantare una vita insieme
reale come i sogni dell’alba.








Eros e Anteros
.

Nelle stanze disegnate
dalla fatica sapiente
s’aggira il tuo sguardo
tenero e sorridente
e avvolge i frutti
dell’amore corrisposto.
La mente febbrile
indaga codici e misteri
e scruta alacre i pensieri
delle coscienze inquiete
dei millenni andati.
Come un paramento
l’ordito della tua tessitura
serra il corpo mortificato
memore di sfinimenti
prolungati e languidi
che la ragione infrangono
insopiti.
Si dischiude la carne
inutilmente negletta
e s’abbandona ai fremiti
di pleniluni argentati
angeli riflessi
nel mare calmo e profondo
degli occhi insonni.
Come onda di marea
avanzi e ti ritrai
lasciando indelebile
il suono del respiro corto
che accompagna la sfida
ai desideri implacabili.
E mentre il tempo consuma
i giorni quieti della devozione
scopri sgomenta i gesti
potenti e irrimediabili
che non hai mai compiuto
e la nostalgia dell’assoluto.

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