Sciopero generale. Quelli della
mia generazione si ricordano quanto fosse forte e drammatica l’indizione di uno
sciopero generale. Tutti sapevano, nonostante le formali obiezioni e
giustificazioni sul carattere non politico di una simile forma di lotta, quanto
peso avesse il simultaneo e generalizzato incrociare le braccia di chi
produceva la ricchezza del paese.
Di fronte allo sfascio generale
sembrerebbe più che necessaria la protesta di chi lavora e subisce più di ogni
altro i colpi della crisi. Ma chi ha il potere di convocarlo uno sciopero
generale? Nessuno più. Solo corporative convocazioni di rabbia a reclamare
soluzioni prive di disegno e visione.
Incapaci di imporre nel momento
della verità l’unica parola unificante degli occupati e dei disoccupati dentro
l’austerità obbligata - l’equità , perché i duemila miliardi di debito pubblico
sono finiti nelle tasche di tutti ma ci sono state tasche che ne hanno beneficato in modo
spropositato - i sindacati hanno preferito arroccarsi nella difesa ideologica
di condizioni di mercato che non esistono e non esisteranno mai più. Hanno
preferito chiamarsi fuori, non firmare compromessi, demonizzare finanza e
globalizzazione, hanno smesso di studiare e lottare, proporre soluzioni
condivise. Si sono ritratti a difesa di un tabernacolo custode di dogmi
polverosi. Si sono rifugiati dentro trasmissioni televisive con i loro corrivi cantori
populisti, i loro comici, i loro disegnatori satirici, i loro cantanti, i loro
magistrati, hanno persino incensato le pause di un cervello vuoto spacciato per
riflessione alta. Hanno abdicato alla loro funzione storica. E in queste
difficili ore della Repubblica o balbettano o tacciono privi di parole
religiose. Per loro parlano avventurieri, cantori rabbiosi quanto insensati,
falliti in ogni responsabilità pubblica. Non so se ne usciremo, da questa
follia faziosa e incompetente, o meglio, se ne usciremo mantenendo intatte le
conquiste dei nostri padri resistenziali. Certo è che si avvicina velocemente
il tempo di una nuova religione.
PS Pleonastico aggiungere che i
termini religioso, religione, sono qui usati nel senso etimologico di ciò che
ci unisce nella con/passione.
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